un foglio internazionale
Un genocidio di genere
Voce di spicco del femminismo, la filosofa Élisabeth Badinter denuncia l’indifferenza e il silenzio dell’occidente sulle donne afghane e iraniane
Voce di spicco del femminismo universalista, la filosofa francese Élisabeth Badinter deplora l’indifferenza e il silenzio dell’occidente nei confronti delle donne afghane e iraniane e della loro sorte. Persino in Francia, la sportiva Marzieh Hamidi, che ha denunciato le nuove leggi repressive dei talebani, riceve minacce di morte. E’ l’occasione per soffermarsi sulle derive di un neofemminismo che flirta con il wokismo, incapace di condannare i crimini islamisti e per il quale il destino delle donne afghane e iraniane non è mai una priorità. Per non parlare della vigliaccheria di una certa sinistra prigioniera del suo elettorato. Oggi ottantenne, Badinter fece irruzione nel dibattito delle idee francesi con “L’Amour en plus”, che uscì nel 1980 e fu un successo clamoroso. Nel libro, l’intellettuale parigina respingeva il mito dell’istinto materno come costrutto culturale. Poi arrivarono “Le conflit: la femme et la mère”, in cui dissezionava il “culto della maternità”, e “Fausse route”, pamphlet contro il “femminismo da vittimismo”. Mentre Simone de Beauvoir diceva che “donna non si nasce, lo si diventa”, Badinter spiegò che la conquista dell’identità maschile fosse molto più difficile di quella femminile. Il suo ultimo libro è “Messieurs, encore un effort…”, edito da Flammarion-Plon. Marzieh Hamidi, atleta olimpica afghana rifugiatasi in Francia, ha ricevuto minacce di morte da quando ha manifestato il suo sostegno alle donne afghane.
Come spiega questa ondata di odio?
“Si spiega facilmente con la presenza di islamisti radicali sul nostro territorio, siano essi afghani o di un’altra origine, che non condividono la nostra cultura”, dice Badinter a Le Point. “Li abbiamo accolti e spesso abbiamo dato loro la nazionalità francese, da cui traggono beneficio pur disprezzandola e addirittura odiandola. Se c’è una cosa di cui il nostro paese è colpevole è di essere stato così poco attento alle persone che accoglie”.
Le femministe tacciono nonostante la situazione sia spaventosa.
“Bisogna essere femministe per indignarsi riguardo all’oppressione delle donne afghane? E’ una questione che concerne tutte le donne, femministe o meno, e tutti gli uomini nei paesi occidentali, ma anche nei paesi a maggioranza musulmana che combattono il jihadismo. Il silenzio – o l’indifferenza – è internazionale. Per quanto riguarda la nuova generazione di femministe, che flirta con il wokismo, molte di loro ritengono di condividere lo stesso status di vittime con le persone razzializzate, i musulmani e le minoranze sessuali. Esiste un’alleanza implicita tra tutti coloro che si considerano vittime dell’uomo bianco, occidentale e colonizzatore, sospettato di razzismo e islamofobia. Le donne nei paesi musulmani radicalizzati la stanno pagando cara: assenza di libertà e di uguaglianza. Il loro destino non è una priorità”.
C’è negazione della realtà e cecità.
“I media mainstream di sinistra e i parlamentari di sinistra tacciono. Tanto che la maggior parte dei nostri concittadini ha persino ignorato il fatto che un militante islamista fanatico abbia recentemente invocato un’intifada a Parigi e a Marsiglia, tra gli applausi scroscianti del suo pubblico. Ha anche invitato i musulmani francesi che sono dei ‘buoni francesi’, attaccati alle nostre leggi e alla Repubblica, ad abbandonare le loro convinzioni e a unirsi a lui nella lotta contro ebrei e cristiani. I palestinesi minacciano la Francia e il Nuovo fronte popolare e i suoi seguaci restano in silenzio. Questo silenzio non è indifferenza, ma paura di dover prendere posizioni che potrebbero scontentare i loro elettori e i loro lettori. Questa è la codardia e l’ipocrisia a cui si è ridotta la nuova sinistra”.
Si può parlare di apartheid sessuale in Afghanistan?
“E’ peggio dell’apartheid sessuale. E’ una delle più grandi barbarie dopo i genocidi degli ultimi secoli. Si potrebbe dire che i talebani stanno commettendo un “genocidio di genere”. Le donne afghane non sono più trattate come esseri umani, ma ridotte a una sorta di condizione animale. A loro non resta altro che il dovere di generare figli e sfamare i loro padroni. Sono ombre silenziose, abbandonate da tutti”.
Che cosa dovrebbe fare la comunità internazionale?
“Tutte le principali organizzazioni internazionali – l’Onu, l’Oms, la Corte europea dei diritti dell’uomo e le altre – e le associazioni di aiuto alle vittime devono sollevare insieme uno scandalo internazionale senza precedenti. Chiudere gli occhi di fronte a questo crimine atroce ci sarà rimproverato tra qualche anno, e non potremo dire: “Non lo sapevamo”. Non c’è mai stato un tale attacco alle donne in tempi di pace e un tale silenzio da parte delle femministe”.
Alcuni avevano parlato di “talebani inclusivi” quando Kabul è stata presa nell’agosto 2021.
“Non so chi abbia coniato l’espressione, ma deve aver fatto comodo agli americani che sono fuggiti come ladri. Sarei sorpresa se i talebani conoscessero il significato della parola inclusione, che va tanto di moda in occidente”.
Questa indifferenza è una capitolazione.
“Pochissime persone sono interessate al destino delle donne afghane e iraniane. Ci limitiamo a deplorare la loro condizione e a passare oltre, come se questi paesi fossero destinati a rimanere per l’eternità sotto lo stivale dei talebani e dei mullah. Eppure, se le donne iraniane hanno sempre avuto accesso al sapere, non dimentico che dopo l’ultima guerra mondiale l’Università di Kabul ha aperto le porte alle donne. Ho ancora in mente la foto delle studentesse vestite all’occidentale, che si mettono in posa e sorridono al fotografo. Il disinteresse degli occidentali nei loro confronti non è una capitolazione, ma semplicemente l’applicazione all’estero del principio individualista che oggi governa le nostre vite: ‘prima io’ e ‘prima noi’. Ciò che vale per le donne afghane vale anche per l’Ucraina”.
(Traduzione di Mauro Zanon).
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