Un Foglio internazionale
Dalla Shoah al 7 ottobre. Per capire il pogrom di Hamas, Ferguson è tornato tra i fantasmi in Europa
Il 7 ottobre non è stato solo un altro attacco terroristico, ma il preludio a un altro olocausto. Le stesse scene impresse nella storia dell’antica Vilna. I palestinesi si sono affidati a islamisti che preferirebbero compiere un genocidio piuttosto che costruire un governo funzionante
"Per dare un senso ai sanguinosi eventi degli ultimi dodici mesi in medio oriente, sono dovuto andare a Vilnius” scrive lo storico Niall Ferguson sulla Free Press. “Potrebbe sembrarvi bizzarro, dato che Vilnius è la capitale della Lituania e dista circa 1.600 miglia da Tel Aviv. Ma Vilnius un tempo era ‘la Gerusalemme del Nord’, così la chiamava Napoleone quando la attraversò nel 1812. Oggi è una bella città, con i suoi affascinanti edifici del XVIII e XIX secolo, molti dei quali ristrutturati in modo creativo da quando la Lituania ha riacquistato l’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991.
Eppure, Vilnius è una città di fantasmi. Che così tanta della sua architettura barocca sia sopravvissuta alle brutalità dell’occupazione prima sovietica, poi nazista, poi sovietica è notevole. Gli abitanti ebrei non furono così fortunati. Per comprendere Israele oggi, devi prima capire cosa è successo agli ebrei d’Europa. E’ la storia di cosa può succedere a un popolo senza uno stato nazionale. E’ la storia di un popolo senza un esercito proprio. Ed è la storia di cosa potrebbe succedere di nuovo se ai nemici del popolo ebraico venisse data la possibilità, ancora una volta, di realizzare le loro fantasie.
Quella che oggi è Vilnius un tempo era Vilna, una parte dell’impero zarista, e poi, tra il 1918 e il 1939, Wilno nella Repubblica di Polonia. Le condizioni di gran parte della popolazione ebraica erano povere e insicure. Eppure la città era anche il più importante centro culturale ebraico nell’Europa orientale, un centro di apprendimento e cultura ebraica dagli anni 60 del Cinquecento fino agli anni 30 del Novecento. Il più grande studioso talmudico del XVIII secolo, Elijah ben Solomon Zalman, era noto come il Gaon di Vilna. L’uomo che fu pioniere della rinascita dell’ebraico come lingua parlata, Eliezer Ben-Yehuda, studiò a Vilna. Quella vitalità culturale non si attenuò dopo l’incorporazione della città nella repubblica polacca. YIVO, il centro per gli studi ebraici che ora ha sede a New York, fu originariamente fondato a Wilno nel 1925. Nel 1939, quando la Polonia fu divisa tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica, la città fu consegnata alla Lituania. E sembrò provvidenziale. Per gli ebrei in fuga dal dominio nazista e sovietico, Vilnius sembrava un santuario. In effetti, molti degli ebrei della città celebrarono la fine del dominio polacco. Ma la celebrazione fu prematura. Nel giugno 1940, insieme alle vicine Lettonia ed Estonia, la Lituania fu annessa all’Unione Sovietica. Un anno dopo, il regime cambiò ancora una volta, questa volta fatalmente. Con l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica il 22 giugno 1941, il destino degli ebrei di Vilnius fu segnato. Tra 190 mila e 196 mila ebrei lituani, ovvero oltre il 90 percento, furono assassinati: una percentuale più alta rispetto a qualsiasi altro paese occupato dai nazisti. La loro distruzione fu rapida: la maggior parte degli ebrei lituani morì prima della fine del 1941.
L’Einsatzgruppe A era responsabile della ‘soluzione finale’ in Lituania. Ma gran parte delle uccisioni in Lituania furono compiute dalla gente del posto. Gli ebrei di Vilnius furono uccisi dai loro vicini tanto quanto dagli invasori. I più noti autori lituani dell’Olocausto furono gli Ypatingasis būrys (Squadra speciale), che furono coinvolti nel massacro di 72 mila ebrei nei pressi della stazione ferroviaria nella foresta di Ponary (ora Paneriai). Fu qui che i nazisti per la prima volta assassinarono sistematicamente donne e bambini, oltre agli uomini. Le squadre di uccisione ammucchiarono i corpi in sei grandi fosse. Era un lavoro così raccapricciante che i carnefici dovettero essere imbottiti di alcol. Un soldato tedesco che assistette al massacro disse: ‘Che Dio ci conceda la vittoria perché se si vendicano, ci aspettano tempi duri’.
Ora capirete perché, quando ho visto per la prima volta il filmato di ciò che Hamas e il jihad islamico avevano fatto il 7 ottobre, il mio primo pensiero è andato all’Olocausto. Ho riconosciuto immediatamente cosa stavano facendo i terroristi. Uccidendo donne e bambini indifesi, così come uomini, stavano mettendo in scena un trailer per un secondo Olocausto. Credo che non ci sia una persona che viva in Israele, dai giornalisti più di sinistra di Tel Aviv agli ultra ortodossi di Gerusalemme ai mistici di Tzfat, che non abbia visto quello che ho visto io. Il 7 ottobre non è stato solo un altro attacco terroristico. E’ stato il preludio alla Shoah II. Ecco perché, quando sono andato in Israele a febbraio, non sono rimasto sorpreso di incontrare un popolo che, nonostante i suoi compulsivi litigi politici, era unito nella sua determinazione a fare tutto il necessario per impedire che ciò accadesse. Sono cresciuto in un mondo lontano da Israele, in una parte protestante della Scozia negli anni 60 e 70. Sapevo che gli ebrei erano diversi da noi, ma non radicalmente più alieni dei molto più numerosi cattolici nella mia Glasgow natia. C’è poco spazio per l’antisemitismo quando la tua preoccupazione storica è per lo scisma all’interno della cristianità iniziato con la Riforma. La nostra altra preoccupazione in quei giorni era per le agonie della decolonizzazione. Noi scozzesi della classe media accettavamo la fine dell’impero, ma non ne celebravamo la fine, perché lo avevamo gestito. Ciò significava, tra le altre cose, che mi è stato insegnato a detestare Menachem Begin come un terrorista che aveva sangue britannico sulle mani. In effetti, penso che il bombardamento del 1946 del King David Hotel a Gerusalemme da parte dell’Irgun paramilitare di Begin, che uccise 91 persone, sia stato il primo esempio di terrorismo di cui abbia mai sentito parlare a casa.
I cattolici di Glasgow, con la loro eredità irlandese e la tradizione di sostegno allo Sinn Fein, sono da tempo inclini a schierarsi dalla parte dei palestinesi: lo testimoniano le bandiere palestinesi accanto a quelle irlandesi alla finale della Coppa di Scozia tra Celtic e Rangers lo scorso maggio. La differenza tra me e i miei coetanei protestanti nordeuropei è che, dopo aver lasciato Glasgow, ho continuato a studiare sia la storia tedesca che quella ebraica. Ho scritto la mia tesi di dottorato sulle crisi economiche che hanno portato Hitler al potere. Per anni, mentre scrivevo storie dei Rothschild e dei Warburg, ho insegnato la materia speciale del Terzo Reich a Oxford. Per il mio libro ‘The War of the World’, mi sono immerso nella storiografia e nella letteratura dell’Olocausto. Per dirla in parole povere, lo studio della storia del Diciannovesimo e Ventesimo secolo mi ha reso sia un filosemita che un sionista. Nella Glasgow del dopoguerra, come ho detto, Begin era disprezzato come terrorista. Ma visto storicamente, ad esempio in ‘Black Earth’ di Snyder, Begin emerge come una risposta logica all’Olocausto. Nato a Brest-Litovsk, in quella che oggi è la Bielorussia, e istruito a Varsavia, in Polonia, Begin fuggì a Vilnius quando i nazisti e i sovietici invasero la Polonia nel 1939. Quando Stalin annesse la Lituania, Begin fu arrestato, torturato e mandato al Gulag per essere un ‘agente dell’imperialismo britannico’. Per prima cosa combatté gli inglesi, che riteneva avessero tradito i termini del mandato ricevuto dalla Società delle Nazioni, fino al loro ritiro dalla Palestina. Quindi Begin combatté contro gli arabi, che reagirono al piano di spartizione dell’Assemblea generale iniziando una guerra in cui furono raggiunti dagli eserciti invasori di cinque nazioni arabe. E l’insistenza di Begin sul fatto che Israele dovesse combattere per sopravvivere fu ciò che lo fece eleggere primo ministro nel 1977. Per certi aspetti, Begin fu all’altezza della sua reputazione di combattente. Quando Begin convinse la Knesset ad approvare l’annessione delle alture del Golan che Israele aveva conquistato nel 1967, Reagan sospese il memorandum di cooperazione che i due paesi avevano firmato. La risposta di Begin fu: ‘Il popolo di Israele ha vissuto per 3.700 anni senza un memorandum d’intesa con l’America e continuerà a vivere senza per altri 3.700 anni’. Eppure fu Begin che, insieme al presidente egiziano Anwar Sadat, firmò gli accordi di Camp David, scambiando terre per la pace. Camp David fu un risultato storico per il quale Begin e Sadat ricevettero il Nobel per la pace, un riconoscimento viziato dalla sua decisione, nel giugno 1982, di inviare l’esercito in Libano. C’erano buone ragioni per l’incursione.
Yasser Arafat aveva creato uno stato nello stato in Libano che stava lanciando razzi contro le comunità nel nord di Israele e scatenando attacchi terroristici contro i civili in tutto il paese. Tuttavia, quando gli alleati cristiani libanesi di Israele perpetrarono il massacro di Sabra e Shatila, la posizione politica di Begin iniziò a sgretolarsi. Il progetto di uno stato palestinese è destinato in parte a fallire perché i palestinesi hanno messo la loro causa nelle mani degli islamisti che preferirebbero compiere un genocidio piuttosto che costruire un governo. Ma c’è una ragione storica più profonda. A differenza dell’Irgun di Begin, Hamas e Hezbollah sono andati in guerra contro uno stato-nazione, non contro un impero. Entrambi controllano il territorio che occupano, a Gaza e in Libano, sebbene servano come eserciti per procura dell’Iran, un paese la cui portata imperiale ha già rivendicato parti dell’Iraq e della Siria insieme al Libano. Gli attacchi del 7 ottobre non sono stati motivati dal desiderio di creare uno stato palestinese, ma dal sogno di distruggere quello ebraico. E la lezione della storia è molto chiara. Gli ebrei non possono più rischiare la vita senza uno stato. Non possono mai più essere un popolo senza un esercito. Ecco perché quando Joe Biden parlò al Senato nel 1982 davanti a Begin, questi disse: ‘Non minacciateci di tagliare gli aiuti per rinunciare ai nostri princìpi. Non sono un ebreo con le ginocchia tremanti. Nessuno è venuto in nostro aiuto quando stavamo morendo nelle camere a gas. Nessuno è venuto in nostro aiuto quando ci sforzavamo di creare il nostro paese. Lo abbiamo pagato. Abbiamo combattuto per questo. Siamo morti per questo. Resteremo fedeli ai nostri princìpi. Li difenderemo. E, quando necessario, moriremo di nuovo per loro, con o senza il vostro aiuto’”.
(Traduzione di Giulio Meotti)
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