un foglio internazionale
Un grande crollo morale dopo il 7 ottobre
Profondamente colpito dal pogrom di Hamas contro Israele, il filosofo Pierre Manent è inorridito dall’antisemitismo politico che sta prendendo piede in Europa
Pierre Manent è professore di Filosofia politica presso l'École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi. Tra i suoi libri, “Le metamorfosi della città. Saggio sulla dinamica dell’Occidente” e “Storia intellettuale del liberalismo”, pubblicati in Italia da Rubbettino. Causeur l’ha intervistato.
Causeur - In “Situation de la France”, scritto dopo gli attentati del gennaio 2015, lei si interrogava sul nostro rapporto con l’islam, che è diventato una realtà europea. E osservava la discordanza tra l’opinione media occidentale e l’opinione media musulmana. A dieci anni di distanza, e in particolare dal 7 ottobre 2023, è chiaro che queste divergenze siano diventate delle divisioni abissali. Per fare un esempio, secondo uno studio Ifop del dicembre 2023, il 45 per cento dei musulmani francesi ritiene che il 7 ottobre sia stato un atto di resistenza. E’ troppo tardi?
Pierre Manent - Era già tardi nel 2015, è ancora più tardi oggi. Tanto più che, dopo il 7 ottobre, la questione non è solo l’islam, ma l’esistenza di un partito politico democratico che ha deliberatamente, gratuitamente scelto di fare dell’odio per Israele in senso lato, cioè sia per lo Stato di Israele che per il popolo ebraico, l’elemento unificante del suo progetto politico.
Gratuitamente, è presto detto, perché questo orientamento risponde a un calcolo elettorale. Il che ci riporta all’islam o a certe sue espressioni. Se la France insoumise (il partito della sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon, ndt) alimenta i sentimenti anti-ebraici e anti-israeliani, è perché esistono.
In effetti, lavorano con il materiale a disposizione. Per molto tempo hanno scelto di affidarsi all’immigrazione musulmana per prosperare facendo crescere questo nuovo popolo che intendono guidare. Tuttavia, dopo il 7 ottobre, non è stato necessario andare così lontano. Potevano adulare la clientela musulmana, così come i politici adulano la loro clientela, ma hanno davvero fatto un salto di qualità, se così si può dire. Ora che si attengono chiaramente a questa nuova posizione, la situazione generale è effettivamente cambiata. Per la prima volta dal dopoguerra, abbiamo a che fare con un antisemitismo politico esplicito. Si tratta di una rottura deliberata con i presupposti finora condivisi da tutti i partiti.
Dal 1945, la politica europea è stata sovradeterminata, persino ossessionata, dalla memoria della Shoah. Eppure, anche il 7 ottobre non ha raccolto consensi.
A partire dagli anni Sessanta, la Shoah è diventata un elemento centrale dell’autocoscienza occidentale. Movimento giusto e necessario, ma esposto a un uso improprio. Per passione o per calcolo, attivisti di varie cause hanno cercato di appropriarsi del crimine per eccellenza. Da qui l’importanza della parola “genocidio”. Oggi, in molte istituzioni universitarie, se non si è d’accordo nel descrivere l’azione del governo israeliano a Gaza come genocidio, si viene esclusi dalla discussione. Da quando il male per eccellenza è diventato il criterio esclusivo di orientamento, tutte le miserie dell’umanità vengono catturate dall’attrazione di questo male e ogni gruppo sofferente è portato a sostenere di essere anch’esso vittima di questo male.
Da quando abbiamo sconfitto Hitler, è ovunque.
Per essere degno del vostro odio, il vostro nemico deve assomigliare a Hitler.
Ogni crimine è in un certo senso Auschwitz.
Guardate come ogni crimine, ogni reato persino, viene visto alla luce del crimine finale. Anche in ambiti che non hanno nulla a che fare con la politica. La cattiva condotta sessuale, ad esempio, viene giudicata in termini di stupro. Quando ci si orienta sul male, tutto viene visto alla luce di questo male ultimo. Il linguaggio morale viene rimodellato dal punto di vista esclusivo della vittima. Le situazioni morali sono definite dalle sofferenze di chi soffre, non dall’azione di chi agisce. E poiché “tutte le vittime sono uguali”, non c’è differenza tra chi muore in un bombardamento e chi viene ucciso selvaggiamente, deliberatamente. Non appena una vittima viene ferita, mutilata o uccisa, il crimine è lo stesso. Pensiamo di aver fatto grandi progressi morali guardando le cose dal punto di vista delle vittime, senza vedere che le distinzioni più elementari vengono poi cancellate. Alcuni oggi rifiutano persino di distinguere tra vittime animali e umane perché “siamo tutti” animali senzienti, vulnerabili e sofferenti.
Questo antisemitismo politico, che sta riemergendo non nonostante la centralità della Shoah ma a causa di essa, mette in discussione la presenza ebraica in Europa e in Francia?
La presenza ebraica in Europa e in Francia è in pericolo e deve essere difesa da tutti. Non potevo immaginare che sarebbe successo così all’improvviso. Qualche anno fa, ero leggermente infastidito dalle notizie sull’antisemitismo che mi sembravano eccessivamente allarmistiche. Ma diversi omicidi deliberati di persone ebree in quanto ebree, in particolare quello di Sarah Halimi, e lo strano modo in cui questo crimine è stato trattato dal sistema giudiziario, mi hanno portato a condividere l’angoscia dei miei compatrioti ebrei. Oggi i pilastri della nostra fabbrica morale sono crollati. Diverse generazioni di francesi, di ogni orientamento, erano convinte di avere un dovere speciale nei confronti degli ebrei. Cosa resterà di questa sincera determinazione sotto la pressione combinata dell’umanitarismo senza frontiere e dell’islamismo?
Le tergiversazioni di Emmanuel Macron ne sono la prova. Quindi, per lei, la minaccia più urgente non è tanto la banalizzazione di un certo tipo di antisemitismo musulmano, quanto la relegittimazione dell’antisemitismo di sinistra?
I sentimenti negativi ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Il pericolo è la cristallizzazione provocata dall’antisemitismo politico. Ponendo l’odio verso Israele come elemento attrattivo principale, mette insieme il pericolo interno e le minacce esterne. Si è parlato molto, e giustamente, delle azioni della France insoumise dopo il 7 ottobre, molto meno di quelle del rettore della moschea di Parigi, che nel maggio 2024 ha ricevuto Rima Hassan (attivista e europarlamentare della France insoumise franco-palestinese nota per le sue simpatie per Hamas, ndt) con onori che avrebbero meritato l’attenzione del governo. Ciò non sorprende, dato che la Grande Moschea di Parigi è espressione del governo algerino, che è uno dei più accesi sostenitori di Hamas. Questa “causa comune” tra il rettore della moschea e l’egeria della France insoumise riassume le pressioni che pesano sulla nostra comunità politica e le divisioni che la minacciano. Le tergiversazioni del presidente non sono estranee a questa configurazione globale. Il problema posto dall’islam non è metafisico. Possiamo discutere all’infinito se sia compatibile o meno con la democrazia. Ciò che è urgente è riconoscere che il nodo che si sta tessendo tra l’interno e l’esterno, oltre a minacciare la sicurezza e la presenza degli ebrei nel nostro paese, sta mettendo a rischio l’indipendenza del nostro paese.
(Traduzione di Mauro Zanon)
Il Foglio internazionale