Un Foglio internazionale
La grande frattura americana al voto
Trump e Harris, populismo ed elitismo: due modelli opposti, spiega Christopher Caldwell
Più velocemente si diffonde la cultura americana, meno gli stranieri sembrano capirla” scrive su Unherd uno dei più brillanti commentatori americani, Christopher Caldwell. “A ottobre, la scrittrice irlandese Anne Enright ha condiviso alcune riflessioni sulle elezioni americane. ‘Queste politiche si stanno svolgendo in una parte segreta della psiche americana’, ha scritto. ‘Le parole che non vengono dette sono più importanti di quelle pronunciate ad alta voce e gli elettori non ascoltano i loro politici in alcun modo reale’. Per un americano che sta vivendo la stagione elettorale, le cose sembrano molto diverse. Non c’è nulla di segreto nella psiche americana di questi tempi. Kamala Harris descrive l’ex presidente Donald Trump come ‘instabile e squilibrato’ e lo paragona a Hitler. E lui la descrive come una persona con ‘le facoltà mentali di una bambina’. La preoccupazione di Enright che gli elettori non ascoltino i politici la contraddistingue come una persona di Harris; le persone di Trump tendono a vedere il problema nei politici che non ascoltano gli elettori.
Le elezioni americane mettono a confronto un partito del Sistema (i Democratici di Harris) con un partito dell’Elettorato (i Repubblicani di Trump). Naturalmente, gli stranieri preoccupati si schiereranno dalla parte di Harris. Conoscono il sistema americano, ne dipendono e traggono tutte le loro notizie da esso. In genere non conoscono l’elettorato americano e non pensano di dipenderne. Potrebbero scoprire di sbagliarsi. Di recente si è sperato in una riconciliazione tra l’elettorato furioso del paese e le élite che gestiscono il suo sistema in difficoltà. A pochi giorni dallo spoglio delle schede da parte degli americani, è probabile che queste speranze vengano infrante. Il tempo ci dirà se Kamala Harris è stata una scelta adeguata per sostituire Joe Biden, una volta che la sua incapacità legata all’età non poteva più essere nascosta. Ma il metodo della sua selezione ha suggellato la percezione dei Democratici, da parte del pubblico, come il partito delle élite abbienti, cosa non positiva. Nascondere le condizioni di Biden ha richiesto la collusione dell’intero partito, Harris inclusa. Ha strappato la scelta del candidato democratico per il 2024 agli elettori di base e l’ha consegnata ai sostenitori miliardari del partito nella finanza, nell’intrattenimento e nella tecnologia. Il partito sta assumendo un profilo da riccone. Ha fatto affidamento su stratagemmi per scegliere personalmente il suo candidato presidenziale nelle ultime tre elezioni. Nel 2016, la presidente ufficialmente neutrale, Debbie Wasserman Schultz, ha lavorato dietro le quinte per respingere la sfida del socialista Bernie Sanders a Hillary Clinton. Nel 2020, donatori e strateghi, disperati per unire le fazioni del partito contro Trump e (di nuovo) per ostacolare Sanders, hanno salvato la candidatura fallimentare di Joe Biden epurando altri moderati. La vittoria di Biden è stata una rivendicazione delle loro tattiche.
L’Amministrazione Biden era una giunta di interessi particolari (Black Lives Matter, attivisti immigrati e transgender, magnati dell’energia verde, neoconservatori) senza, come ora ci rendiamo conto, alcuna intelligenza guida al suo centro. Mantenere insieme questi interessi particolari è costato soldi. Ecco come il debito americano è salito alle stelle a livelli storici. Dato che un presidente è presumibilmente potente, si dava per scontato che per estromettere Biden sarebbe stato necessario il suo assenso. Non è stato così. Dopo che Biden è inciampato in un dibattito lo scorso giugno, uno stop dei finanziamenti indetto dai miliardari dell’intrattenimento e della finanza ha funzionato. L’ereditiera dei cartoni animati Abigail Disney, il miliardario delle criptovalute Mike Novogratz, il fondatore di Netflix Reed Hoffman hanno tagliato fuori il partito finché non ha accettato di sostituire Biden in cima alla lista. In un certo senso, non importa quale politico sceglie il sistema. Il partito non appartiene agli elettori ma ai gruppi di interesse.
Donald Trump ha trasformato questo in un peso per i democratici. I lavoratori ricordano con affetto l’economia come la gestiva Trump nei tre anni prima dell’emergenza Covid. Non era perfetta: la crescita era inferiore a quella sotto Obama. Ma era meglio distribuita. Il quarto più basso di lavoratori ha visto i propri salari reali aumentare del 5 per cento sotto Trump, il primo miglioramento duraturo per i lavoratori poveri dal XX secolo. La grande sorpresa dei sondaggi delle elezioni del 2024, il più alto sostegno repubblicano tra i maschi neri dal 1960, è più plausibilmente spiegata da risultati economici concreti che da fattori intangibili che gli esperti di solito adducono.
Se un episodio potesse riassumere l’intera stagione della campagna, sarebbe lo scambio di battute fra Trump e Harris, durante il loro dibattito televisivo di settembre, sulle accuse secondo cui gli immigrati haitiani stavano – per usare la frase di Trump che ha dato il via a mille remix – ‘mangiando gli animali domestici delle persone che vivono lì’. Il dibattito è stato una vittoria assoluta per Harris: una batosta, una shutout. Trump è pigro (ovviamente non ha nemmeno delineato una dichiarazione conclusiva), ignorante (non sembrava sapere cosa fosse un ‘conto’), inarticolato (ci sono stati momenti in cui è stato quasi confuso come Joe Biden nell’imbarazzante performance del dibattito che lo ha allontanato dalla corsa). Ma la vittoria di Harris è stata di Pirro. Le questioni sollevate da Trump, per quanto in modo inarticolato e impreciso, hanno giocato a suo favore. Molti elettori indecisi americani capiscono che l’apertura del confine meridionale del paese è stata causata da azioni concrete sollecitate dall’ala attivista per gli immigrati della ‘giunta’ di Biden e intraprese tramite ordine esecutivo nei primissimi giorni dell’Amministrazione nel 2021. Ma la maggior parte degli americani non aveva idea, finché Trump non ha iniziato a parlare di mangiare cani e gatti, che ci fossero così tanti posti come Springfield, Ohio, una città industriale in declino di 58.000 persone che ha accolto 12.000-15.000 haitiani nell’ultimo anno o giù di lì. Sembra un problema di ‘minoranza’, ma come hanno scoperto i tedeschi dopo l’invito di Angela Merkel ai rifugiati della guerra siriana nel 2015, questi nuovi arrivati sono sproporzionatamente giovani e maschi. Possono diventare la maggioranza negli spazi pubblici durante l’orario di lavoro. Possono finire per dettare legge. Ciò non significa che siano violenti o maleducati. Hanno semplicemente la forza che i gruppi coesi di uomini possiedono naturalmente nel fiore degli anni. Molti dei nuovi arrivati a Springfield hanno sussidi per l’affitto e buoni pasto e gli Stati Uniti sono un pesante carapace di diritti e protezioni che derivano dalla legge sui diritti civili. Quando si inietta una popolazione di 15.000 persone sovvenzionata a livello federale in una piccola città che non ha visto nuove costruzioni di alloggi per molti anni, gli affitti dei nativi vanno alle stelle. I lavoratori americani hanno ragione di temere la concorrenza di lavoratori che si sono formati in un paese in cui il reddito pro capite è di appena 1.600 dollari. In tali circostanze, gli spettatori assediati del dibattito Trump-Harris avrebbero potuto benissimo preferire il ragazzo che balbettava e diventava rosso al solo pensiero di Springfield alla donna che leggeva le sue battute e manteneva la calma.
Indipendentemente dal fatto che vinca o meno la presidenza, Trump ha vinto la discussione sull’immigrazione che ha introdotto il giorno in cui ha annunciato la sua candidatura nel 2015. E’ anche una sconfitta per le campagne di vergogna e ostracismo guidate dall’élite. Chiaramente ‘woke’, quell’insieme di prescrizioni morali sulla diversità, sostenute dal potere concesso dalla legge sui diritti civili di molestare e disonorare i cittadini refrattari nei tribunali ha perso molto del suo potere di intimidire. Lo spot televisivo più potente della campagna di Trump mostra Harris che dice appassionatamente a un intervistatore transgender che avrebbe sostenuto le operazioni di cambio di sesso finanziate con fondi pubblici per i detenuti. Ora stiamo capendo meglio perché metà del paese è disposta a essere guidata da un uomo la cui personalità lo avrebbe reso inadatto alla leadership in quasi ogni precedente fase della storia americana.
L’apparente indifferenza di Trump alla politica, un segno di mancanza di serietà in altri momenti, sembra un rifiuto accorto di farsi ingannare. La sua volgarità può sembrare un tipo di autenticità postmoderna. Harris, scoprendo che gli elettori degli stati indecisi amano le auto e le armi, si è presentata negli ultimi giorni della campagna come un’appassionata di Formula 1 (una sostenitrice di Lewis Hamilton) e un possessore di armi, persino un fanatico delle armi. ‘Se qualcuno entra in casa mia, gli sparo’, ha detto a Oprah Winfrey. Un fattore che ha sia attenuato l’effetto propagandistico delle azioni penali contro Trump sia consentito ai nemici del woke di radunarsi insieme è stato l’acquisto di Twitter da parte di Elon Musk due anni fa. Non è che Musk sia dalla parte di Trump, anche se (stridentemente) lo è. E’ che, almeno in questo ciclo elettorale, i dirigenti tecnologici allineati ai democratici non sono stati in grado di rallentare il movimento di storie che sconvolgono la narrazione attraverso l’ecosistema delle notizie, come sono stati in grado di fare nel 2020 con le storie riguardanti il laptop del figlio ribelle del presidente, Hunter Biden. Sotto un esame più attento, le élite americane trovano più difficile restare unite di quanto non facessero allora.
La domanda che sorge spontanea è se queste stesse élite riescano a tenere unito il paese abbastanza bene da continuare a esercitare quella che amano chiamare ‘leadership globale’. La risposta sembra essere no. I partiti, uno che rappresenta l’elettorato infuriato e l’altro l’élite balbettante, non sono stati così in disaccordo da molto tempo. L’America potrebbe ancora avere un futuro come leader del mondo libero. Ma perché ciò accada, dovrà attendere la fine del conflitto tra populisti repubblicani ed elitari democratici, un conflitto che il 5 novembre probabilmente esacerba piuttosto che risolvere”.
(Traduzione di Giulio Meotti)
Il Foglio internazionale