un foglio internazionale
La tragedia ebraica
L’effetto paradossale del 7 ottobre è stato di chiudere la parentesi post hitleriana della Storia e rilanciare l’antisemitismo in tutto il mondo
Israele sta affrontando una guerra di logoramento e una frattura senza precedenti della sua società. Per Alain Finkielkraut, dobbiamo contemporaneamente denunciare l’estremismo e il cinismo di Benyamin Netanyahu e combattere l’antisemitismo disinibito che dilaga ovunque nel mondo dal 7 ottobre dello scorso anno. La rivista Causeur ha intervistato il filosofo francese.
Causeur – Ricorda il suo 7 ottobre? Come è venuto a conoscenza di quanto stava accadendo?
Alain Finkielkraut – Stavo tornando in treno da una conferenza a Aix-en-Provence quando ho saputo che stava accadendo qualcosa di molto grave nel sud di Israele. Quando sono tornato a casa, mi sono reso conto progressivamente dell’orrore. Quel massacro non aveva nulla in comune con gli attacchi missilistici e nemmeno con gli attentati suicidi a cui la “resistenza” palestinese ci aveva abituato. Più di 1.200 morti e 7.500 feriti, la maggior parte dei quali civili, donne sventrate dopo essere state violentate, vecchi e bambini uccisi a bruciapelo, 251 ostaggi e miliziani di Hamas che mostravano il loro intento genocida – mostrare è la parola giusta, perché a differenza dei nazisti che nascondevano la Soluzione Finale, loro hanno filmato e diffuso i loro crimini.
Si è parlato di pogrom, il nostro amico Aviad Kleinberg parla di un giorno di Shoah. Quali sono le sue parole per descrivere quanto accaduto?
Il 7 ottobre è stato un gigantesco pogrom commesso sul territorio sovrano di Israele, ossia nel paese concepito per far sì che non si ripetesse mai più la Shoah. Il messaggio era inequivocabile: “Voi ebrei, giovani o vecchi, uomini o donne, pacifisti o messianisti, non avete nulla da fare su questa Terra, dovete sparire”. Qualche anno fa, lo scrittore David Grossman ha scritto: “Tragicamente, Israele non è riuscito a guarire l’anima ebraica dalla sua ferita fondamentale, l’amara sensazione di non sentirsi mai a casa nel mondo”. Dal 7 ottobre, questa ferita si è riaperta.
Si è spesso detto che il 7 ottobre è stata una battaglia nel quadro di un vasto scontro di civiltà. Come definirebbe questa guerra? E di chi contro chi? Quali conseguenze dovremmo trarne dal punto di vista politico e strategico?
Parlare di scontro di civiltà significa fare di ogni musulmano un jihadista attivo o potenziale. Mi rifiuto di definire la situazione in questo modo e di usare il bel termine di civiltà per descrivere il regime dei mullah o il fanatismo di Hamas. Una cosa è certa: gli islamisti hanno dichiarato guerra all’occidente. Se lo stato ebraico – quel “livido che rimane sulla spalla dei musulmani”, come diceva Jean Genet, poetico compagno di viaggio dei palestinesi – è il bersaglio principale, questa guerra si svolge anche sul nostro suolo. “L’islam è entrato in Europa due volte e ne è uscito due volte. Forse la terza conquista, con la volontà di Allah, avverrà attraverso la predicazione e l’ideologia”, ha dichiarato il defunto teologo dei Fratelli musulmani Yusuf al-Qaradawi.
Quali sono le differenze tra il mondo e la Francia dopo il 7 ottobre?
L’effetto paradossale del 7 ottobre è stato quello di chiudere la parentesi post hitleriana della Storia e di rilanciare l’antisemitismo in tutto il mondo. Gli attacchi agli ebrei si sono moltiplicati e un recente rapporto del Senato ha evidenziato l’ostracismo degli studenti di confessione ebraica nelle università francesi. Oltre alle aggressioni e alle diffusioni dei messaggi online, si respira un’atmosfera di antisemitismo: ripetuti scontri nei corridoi, studenti ebrei lasciati fuori dai gruppi di lavoro, cambio di posto nelle aule, ecc. Questo non significa che l’élite occidentale sia improvvisamente tornata a essere razzista, ma che il processo iniziato all’indomani della Guerra dei sei giorni si sta concludendo sotto i nostri occhi. I territori conquistati nel 1967 hanno spinto Israele e la diaspora sionista nel campo sbagliato, quello dell’imperialismo, del razzismo e della dominazione bianca. Gli ebrei, un tempo stigmatizzati dall’occidente, ora incarnano l’occidente predatore. L’antisemitismo crede di avere dalla sua parte la morale universale. Non è una variante del razzismo, ma una modalità dell’antirazzismo. La memoria della Shoah non può più intimidirlo perché, ai suoi occhi, gli ebrei che stanno distruggendo Gaza sono gli eredi dei nazisti.
Crede ancora nella possibilità di una pace tra israeliani e palestinesi?
Israele, lo stato presentato dalla sinistra radicale come imperialista, si è ritirato dal Libano meridionale e da Gaza. Come ricompensa, ha ottenuto Hezbollah a nord e Hamas a sud. Gli israeliani hanno quindi ragione di pensare che il ritiro dalla Cisgiordania rischi di mettere l’intero paese a portata di missili e pogrom. Ma se non si raggiunge la pace, se israeliani e palestinesi non sono separati da una frontiera, la violenza diventerà endemica e la brutalizzazione di una parte della società israeliana risponderà agli attacchi palestinesi. A volte penso che Israele oggi possa scegliere solo tra due versioni dell’apocalisse, ma non posso rassegnarmi. Non possiamo permettere alla tragedia di insediarsi.
Veniamo alla Francia. In un certo senso, il 7 ottobre ha reso più ebrei molti ebrei. E’ il suo caso?
Per molto tempo ho creduto, come Bernanos, che Hitler avesse “disonorato l’antisemitismo”, ma non è più così. L’odio per gli ebrei è vivo e vegeto, siede all’Assemblea nazionale e il Fronte repubblicano non lo ostacola più, anzi, gli fa da supporto. Questa constatazione non mi ha reso più ebreo, ma nelle serate di depressione mi chiedo se si stia avvicinando il giorno in cui non mi sentirò più a casa in Francia.
Non sappiamo ancora se l’operazione Pager cambierà le cose al nord. Ma ci ha fatto bene! E’ l’anti-7 ottobre?
Le performance della tecnologia e delle agenzie di intelligence israeliane sono straordinarie. Sono stati presi di mira solo i miliziani di Hezbollah. Nessun militare di nessun altro paese avrebbe potuto immaginare un’impresa simile. E’ un peccato che Israele non abbia applicato la stessa pazienza, intelligenza, energia e lo stesso know-how per infiltrare Hamas. I vari governi hanno creduto di poter comprare la pace con questa organizzazione. Hanno dimenticato il suo statuto e sottovalutato la sua volontà di combattere. Palestinesi e israeliani stanno pagando il prezzo di questo errore di valutazione.
(Traduzione di Mauro Zanon)
Il Foglio internazionale