Un foglio internazionale
Il 2025 sarà dominato dalla legge del più forte
Dal commercio al diritto, fino alla diplomazia: sta nascendo una nuova era, dominata dalla rivalità tra i grandi e dalla priorità data alla sicurezza. Il ritorno dell’iperpotenza americana, il declino dell’Europa
“Il 2024, che ha avuto il maggior numero di elezioni dal 1800, è stato contraddistinto dalla violenza”, scrive sul Figaro il saggista e editoralista Nicolas Baverez. “E’ stata onnipresente nei sondaggi segnati dagli attacchi contro i candidati, dalla radicalizzazione esacerbata dai social network e dalle interferenze degli imperi autoritari, così come nelle guerre in Ucraina e a Gaza che hanno registrato una brutale escalation. Questa violenza ha generato un mondo di uomini forti, dominato dalla figura di Donald Trump, la cui influenza pesa sul pianeta ancor prima della sua investitura.
Il 2025 confermerà questo nuovo ordine, in cui il commercio, il diritto e la diplomazia saranno sottomessi alla legge del più forte. Il primo quarto del Ventunesimo secolo ha visto la fine definitiva del ciclo della globalizzazione, guidato dall’universalizzazione del capitalismo, dalla rivoluzione digitale, dall’abbattimento delle frontiere e dall’ascesa dei mercati. Sta nascendo una nuova èra, dominata dalla rivalità tra le potenze mondiali, dal ruolo centrale degli stati e dalla priorità data alla sicurezza. Viviamo ancora in un’epoca di storia universale, ma obbedisce a una logica di frammentazione, scontro e brutalizzazione. Il sistema mondiale è ora multipolare, eterogeneo, volatile e incerto, con la possibilità di improvvise rotture strategiche come abbiamo visto in Ucraina e in Siria. Il 2025 si svilupperà sotto l’influenza di Donald Trump, che è riuscito a imporre sia la sua volontà di potenza sia la sua radicale imprevedibilità.
Potrà contare sul ritorno energico dell’iperpotenza degli Stati Uniti, che vuole mettere al servizio dei soli interessi americani. La prova di forza che Xi ha cercato di avviare si è ritorta in modo spettacolare a vantaggio degli Stati Uniti, la cui quota nel pil mondiale potrebbe salire al 35 per cento entro il 2050 grazie alla crescita demografica, agli aumenti di produttività e al dinamismo degli investimenti e della ricerca, alla leadership in settori e tecnologie chiave – il digitale, l’intelligenza artificiale, lo spazio, la biologia e la medicina –, al dominio schiacciante della finanza (nel 2024 l’indice S&P è cresciuto del 25 per cento, contro un aumento del 6 dell’Euro Stoxx 600 e un calo del 2,5 del Cac 40) e alla loro supremazia militare. Tuttavia, i colpi che Donald Trump ha promesso di assestare all’economia globale e alla geopolitica sono estremamente rischiosi. L’economia statunitense, che si trova su una traiettoria equilibrata di crescita intensa, stabilità dei prezzi e piena occupazione, subirà un forte shock inflazionistico se il nuovo presidente attuerà il suo programma di aumento dei dazi e di espulsione di massa degli immigrati illegali, come dimostrato dalla Brexit. A ciò si aggiungeranno le conseguenze dei tagli alle spese federali e della massiccia deregolamentazione affidata a Elon Musk. Il surriscaldamento programmato e il ritorno dell’inflazione potrebbero spingere la Fed ad alzare i tassi, complicando il finanziamento del debito del governo federale che ha raggiunto il 120 per cento del pil, nonché la capacità delle aziende di superare il muro di debiti accumulati durante la pandemia di Covid.
Finora l’economia globale ha dato prova di una sorprendente resilienza, crescendo del 3,5 per cento all’anno nonostante la pandemia, la guerra in Ucraina, il ritorno dell’inflazione e il protezionismo. Tuttavia, Donald Trump potrebbe infliggerle un colpo mortale innescando una generalizzazione del protezionismo, svalutando il dollaro e intensificando la guerra tecnologica contro la Cina. Lo scenario di un crollo degli scambi e dei pagamenti mondiali paragonabile alla Grande Depressione degli anni Trenta non è il più probabile, ma non può essere del tutto escluso.
Gli sconvolgimenti geopolitici non saranno meno profondi e rapidi. Il tempo delle armi innescato dall’invasione dell’Ucraina e dall’attacco a Israele da parte di Hamas sfocerà sicuramente in una soluzione diplomatica. Ma quest’ultima sarà determinata interamente dai rapporti di forza militari e politici. Il conflitto ucraino sarà oggetto di negoziati diretti tra Stati Uniti e Russia, i cui risultati saranno vincolanti sia per Kyiv che per gli europei. Con il rischio di un fragile cessate il fuoco, senza reali garanzie di sicurezza, che sarà solo una tregua prima di un nuovo attacco da parte di Mosca. In medio oriente, Israele ha preso la decisione sul piano militare e ha avuto la meglio sull’Iran, il cui impero si sta sgretolando con la sconfitta di Hamas e Hezbollah e il crollo del regime di Bashar al-Assad. Ma una soluzione politica duratura rimane altamente improbabile, poiché la concretizzazione di un’alleanza ufficiale tra Israele e i paesi arabi moderati presuppone una soluzione della questione palestinese, che Benyamin Netanyahu, forte del sostegno di Donald Trump, è meno che mai disposto a contemplare.
Allo stesso tempo, in medio oriente, così come in Africa e in Asia, dalla Germania alla Louisiana, il jihadismo, lungi dall’essere sradicato, continua a crescere. Infine, in Asia, Pechino probabilmente manterrà la sua strategia della tensione con Taiwan senza passare all’offensiva, in ragione del decadimento della sua economia e del malessere sociale che sta generando.
Nel 2025 l’equilibrio di potere dovrebbe dunque spostarsi a favore degli Stati Uniti di fronte agli imperi autoritari. La Cina è bloccata in una deflazione di tipo giapponese che combina declino demografico, produttività stagnante, rallentamento dell’innovazione, consumi fiacchi e crisi finanziaria e immobiliare. L’avventurismo della Russia in Ucraina si sta trasformando in un disastro demografico, economico e strategico. L’Iran assiste impotente all’implosione dello “Sciistan” che si estendeva dal Libano all’Afghanistan. Solo Recep Erdogan è uscito rafforzato a livello internazionale dalla caduta di Bashar al-Assad, ma la situazione economica e finanziaria della Turchia rimane molto fragile.
L’Europa è la grande perdente di questa nuova situazione. Il suo unico progetto è un altro rovinoso allargamento, senza un piano politico e senza senso strategico. Per la prima volta dal 1945, l’Europa sarà disaccoppiata economicamente, commercialmente, giuridicamente, finanziariamente e strategicamente dagli Stati Uniti. E questo in un momento in cui sarà sommersa dal riorientamento delle esportazioni cinesi, che non avranno più accesso al mercato americano. Allo stesso tempo, Donald Trump vuole far finanziare sia le garanzie di sicurezza fornite all’Ucraina sia la sua ricostruzione da parte di aziende americane”.
(Traduzione di Mauro Zanon)
Allievo di Raymond Aron, Nicolas Baverez ha pubblicato “Démocraties contre empires autoritaires: la liberté est un combat” (Éditions de l’Observatoire).
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