Un Foglio internazionale
Trump e lo scontro tra imperi
L’America del Ventunesimo secolo non sarà democratica, aperta e universalista, ma oligarchica, protezionista e imperiale. Il rischio maggiore non deriva da un’alleanza tra Asia e mondo musulmano contro l’occidente, ma dalla divisione dell’occidente
"Donald Trump, forte della sua vittoria totale e del controllo del Congresso e della Corte Suprema, ha confermato di non essere più l’uomo della protesta ma di volersi imporre come leader della rivoluzione in America e nel mondo” scrive sul Figaro Nicolas Baverez (il suo ultimo libro è “Démocraties contre empires autoritaires: la liberté est un combat”).
A differenza del 2017, ha pianificato la sua conquista del potere, ha nominato i suoi fedelissimi nei posti chiave e ha firmato un numero impressionante di decreti esecutivi per cancellare l’eredità di Joe Biden, consegnato alla storia come un semplice intermezzo tra i suoi due mandati. Già prima del suo insediamento, Donald Trump ha iniziato a ridisegnare il capitalismo e il sistema internazionale: la fusione della sua amministrazione con la finanza e le Big Tech; l’abbandono delle norme Esg e delle politiche di diversità; il riorientamento del commercio e dei pagamenti globali; il lancio del progetto di una Grande America, da Panama al Polo Nord; la finalizzazione con la Russia di un’agenda di negoziati per la fine della guerra in Ucraina; il cessate-il-fuoco a Gaza, che va a suo unico merito per essere riuscito a forzare la mano di Benyamin Netanyahu e di Hamas – un cessate-il-fuoco che gli è valso un inaspettato riconoscimento da parte dei paesi del sud del mondo, dove è visto come un pacificatore e un uomo del dialogo tra le grandi potenze del Ventunesimo secolo.
Donald Trump si è alleato con Elon Musk per creare una dinamica di shock, tensione e velocità che gli permetterà di realizzare una grande rottura nella storia degli Stati Uniti. Punta a mettere fine all’identificazione degli Stati Uniti con la libertà politica e il primato della Costituzione, come il ciclo di riaffermazione del mondo libero che si è aperto nel 1917 con Woodrow Wilson e si è chiuso nel 2024 con Joe Biden. L’America del Ventunesimo secolo non sarà democratica, aperta e universalista, ma oligarchica, protezionista e imperiale. Il leader del popolo Maga vuole recidere il legame esistenziale dell’America con la democrazia liberale, rifiutando di rispettare il suffragio universale, la separazione dei poteri, lo stato di diritto, la moderazione, la libertà di informazione e la tolleranza verso le minoranze. Sta stringendo un’inedita e pericolosa alleanza tra un uomo forte dal temperamento dispotico, i miliardari di Wall Street e della Silicon Valley, l’industria della finanza – in un momento in cui gli Stati Uniti concentrano la metà dei flussi di capitali mondiali – e l’industria tecnologica – consolidando il monopolio dell’IA attraverso il ritorno alla mancanza di regolamentazione del settore digitale che è alla base degli attacchi all’Unione europea. La drastica riduzione delle tasse per i più ricchi, della spesa federale, delle agenzie e delle norme, in un contesto di sistematica confusione tra interesse nazionale e interessi privati, spiana la strada al capitalismo predatorio.
Questi sviluppi potrebbe sancire la trasformazione degli Stati Uniti in una democrazia illiberale, che può essere fermata solo dall’autonomia degli stati e dalla vitalità della società civile. L’impatto sull’economia e sulla geopolitica mondiale non è meno significativo. La generalizzazione del protezionismo, con il forte aumento dei dazi doganali ma anche una massiccia deregolamentazione che creerà una forte divergenza con gli altri paesi sviluppati, comporta un forte crollo ma anche un profondo riorientamento dei flussi commerciali e di capitali, con un rischio di collasso paragonabile a quello provocato negli anni Trenta dalla Hawley-Smoot Tariff del giugno 1930. Ciò rafforzerà la frammentazione e l’armamento del mondo, con la trasformazione in armi dei flussi commerciali, tecnologici, energetici, alimentari, sanitari e migratori. Il rifiuto di qualsiasi principio o regola nega il principio stesso di un ordine internazionale, lasciando campo libero alle ambizioni imperiali e alla pura politica di potenza. Le rivendicazioni di Panama, del Canada o della Groenlandia in nome della sicurezza nazionale degli Stati Uniti rientrano in questa logica, che rifiuta di escludere l’uso della forza armata, in barba non solo alla sovranità nazionale, all’inviolabilità dei confini e al diritto dei popoli all’autodeterminazione, ma anche alle alleanze di lunga data, prima fra tutte la Nato. Donald Trump difende l’idea di un’America imperiale che abbraccia gli stessi princìpi delle tirannie e dei regimi autocratici del Ventunesimo secolo: costituzione di una sfera di influenza e ricorso a tutti i mezzi della guerra ibrida, anche a scapito degli alleati meno potenti. Ragiona, decide e agisce come Xi Jinping, Vladimir Putin o Recep Erdogan, come dimostrano gli ospiti della sua cerimonia di insediamento, da Nayib Bukele, presidente di El Salvador, uomo forte diventato il più popolare al mondo grazie alla repressione della criminalità a scapito delle libertà fondamentali, a Jair Bolsonaro, fino a Viktor Orbán, Giorgia Meloni, Éric Zemmour o Santiago Abascal Conde, il leader di Vox. L’America di Trump è un impero autoritario, che condivide la visione imperiale della Cina ma è impegnata in una feroce rivalità con essa e che, come la Cina, non pone limiti alla messa sotto tutela delle nazioni democratiche, a partire dall’Europa. Samuel Huntington aveva descritto il Ventunesimo secolo come uno scontro di civiltà. Aveva ragione sulla recrudescenza della guerra e della violenza. Ma si sbagliava sulla natura del confronto e sui rischi connessi. Lo scontro non è tra blocchi religiosi, ma tra imperi. Il rischio maggiore non deriva da un’alleanza tra Asia e mondo musulmano contro l’occidente, ma dalla corruzione e dalla divisione dell’occidente. Lungi dall’essere in declino, l’America sta tornando a essere una iperpotenza, ma si sta distaccando dalla libertà politica e condivide con le autocrazie asiatiche, russe e mediorientali, nonché con i paesi emergenti del sud, il primato della forza sul diritto. L’Europa si considera custode dei valori e delle istituzioni liberali, ma non ha né la volontà né i mezzi per difenderli dagli imperi del Ventunesimo secolo. Donald Trump e gli oligarchi del Gafam pongono l’Europa e gli europei di fronte a un momento di verità: o la tutela geopolitica ed economica degli Stati Uniti, senza una garanzia di sicurezza effettiva; o la trasformazione in una potenza che difenda la nostra sovranità, la nostra libertà e la nostra civiltà di fronte agli imperi, ma al prezzo di una trasformazione radicale: l’accettazione del mondo multipolare, volatile e violento del Ventunesimo secolo; la riconciliazione con il lavoro, il rischio e le armi”.
(traduzione di Mauro Zanon)