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il foglio internazionale
Il ritorno del fanatismo religioso in Europa e lo stordimento di una generazione
Intervistato da L’Express, Richard Malka, storico avvocato di Charlie Hebdo, discute della necessità di dibattere senza farsi intimidire dai tabù, rivisita l'omicidio di Salwan Momika in Svezia, giustiziato perché aveva bruciato il Corano, e sottolinea le responsabilità di coloro che a sinistra sono diventati “collaboratori del fanatismo religioso”
Parlando con L’Express, Richard Malka, instancabile difensore della laicità, discute della necessità di dibattere senza farsi intimidire dai tabù della conversazione pubblica, rivisita l'omicidio di Salwan Momika in Svezia, giustiziato perché aveva bruciato il Corano, e sottolinea le responsabilità di coloro che a sinistra sono diventati “collaboratori del fanatismo religioso”.
Lei trasforma questo dialogo immaginario con Voltaire in un libro di riflessioni sul posto della religione nella società, “Après Dieu”. E si percepisce in queste pagine una certa angoscia, persino un’urgenza...
Questa urgenza mi anima da diversi anni. La nostra generazione è stata colta di sorpresa dal ritorno del fanatismo religioso, che fino a poco tempo fa sembrava in gran parte scomparso. E parliamoci chiaro: ci sono ancora alcune cappelle cristiane o ebraiche fondamentaliste – le ho affrontate in tribunale, con Charlie – ma è soprattutto il fanatismo islamico che si è espresso in modo violento negli ultimi anni. Abbiamo assistito al ritorno di una religione che esprime sempre di più le sue ambizioni politiche, invadendo la scena pubblica, sfidando la laicità e cercando di imporre i suoi dogmi, in primo luogo a quelli che considera i suoi “aderenti”, ma anche al resto della società. Di fronte a ciò, sento il bisogno di rinnovare il mio discorso, di trovare nuove angolazioni, perché ho lo scrupolo, la volontà, la determinazione di andare oltre, di continuare questa lotta, di parlare con i giovani, di integrare le loro argomentazioni, di riflettere su di esse, di dubitare... Per fare questo, un dialogo immaginario con Voltaire è stato un buon veicolo.
Da quando lavora su questi temi, ci sono argomenti sui quali ha cambiato idea o modo di vedere le cose?
Certo. Sempre. La mia religione è il dubbio. All’inizio, ero ottimista. Ho cercato di essere cauto, di non “andare troppo lontano”. Ma vista la grande progressione del fatto religioso, devo adattarmi e dire le cose in modo più chiaro. Anno dopo anno mi spingo più in là, perché la stessa pressione religiosa sta guadagnando terreno in maniera considerevole.
Cosa intende per “spingersi più in là”? Si tratta di argomenti particolari? Per esempio, il divieto del velo all’università, che il ministro dell’Interno, Bruno Retailleau, ha recentemente rimesso sul tavolo?
No. Sono ancora contrario a vietare il velo all’università: la mia bussola è innanzitutto la libertà. Inoltre, sinceramente, non credo che si possa risolvere questa problematica vietando l’accesso all’università a delle giovani donne maggiorenni. In compenso, per la prima volta, parlo a lungo in questo libro della questione del velo, diventata fondamentale perché gli islamisti se ne sono impadroniti. Cerco di affrontarla senza eccessi, con sfumature e complessità. Ma senza tirarmi indietro. Bisogna andare nei luoghi “che fanno male” e non farsi intimidire dai tabù della conversazione pubblica. Infine, cerco anche di non perdere la speranza, di non perdere di vista ciò che vi è di positivo. In ogni mia visita, soprattutto nelle università, vedo che l’integrazione sta avendo successo, proprio come le precedenti ondate di integrazione. Ma per evidenziare questi successi repubblicani, dobbiamo abbandonare il discorso vittimista, ed è come se non avessimo il coraggio di farlo. Ciò richiede una mobilitazione di tutta la società…compresi i giornalisti.
Lei dedica il suo libro in particolare agli apostati. È un argomento di cui non si parla molto, eppure rimane una questione spinosa nella religione musulmana di oggi...
Ci sono dodici paesi in cui l’apostasia è punita con la morte e molti altri in cui si va in prigione. Ma anche nei nostri paesi secolarizzati, rimane un tabù nell’islam. Pensiamo al gennaio 2000 quando l’allora ministro dell’Interno, Jean-Pierre Chevènement, che aveva avviato un’ampia consultazione con le principali federazioni musulmane e le principali moschee, dovette rinunciare a inserire nel “patto” finale il “diritto di ogni persona di cambiare la propria religione o il proprio credo”. Tre anni dopo, Nicolas Sarkozy ha fatto marcia indietro sulla stessa questione durante la stesura della carta del Consiglio francese del culto musulmano. Eppure è un diritto fondamentale quello di non credere più! Non vedo perché i musulmani dovrebbero esserne privati. In tutta Europa – e in particolare in Francia – sono sorti movimenti di ex musulmani. Dobbiamo essere al loro fianco. Gli apostati dell’islam sono i voltairiani del nostro tempo! Sono estremamente coraggiosi. È un movimento destinato a crescere. Soprattutto le donne sono stufe del peso della comunità, della sorveglianza sociale e del confinamento mentale che talvolta viene loro imposto.
Il 29 gennaio, in Svezia, Salwan Momika, un rifugiato iracheno e attivista che aveva ripetutamente il Corano in pubblico a più riprese, è stato ucciso a colpi di pistola nel suo appartamento. È stato anche accusato di “incitamento all’odio razziale”. Cosa ne pensa?
Prima di tutto, ricordiamo che i due paesi in cui si sono verificati i roghi del Corano, Danimarca e Svezia, si sono lasciati “preventivamente” intimidire. Alcuni mesi fa, la Danimarca ha approvato una legge anti-blasfemia per vietare questo gesto – che, sia chiaro, è stupido, ma non dovrebbe in nessun caso essere criminalizzato. La Svezia, invece, ha perseguito Salwan Momika e il suo accolito per incitamento all’odio. Che passo indietro! Ripeto, bruciare un simbolo religioso non ha senso: ci sono cose più intelligenti da fare che bruciare libri, qualunque essi siano. Ma non possiamo mica fare leggi ogni volta che un provocatore crea problemi! Allora perché non una legge per chi brucia le opere di Voltaire? Perché ciò in cui credo non dovrebbe essere protetto tanto quanto le credenze degli altri? È assurdo. Legiferare su questi temi è un colossale passo indietro per la democrazia. E perseguire qualcuno in nome dell’incitamento all’“odio razziale”, quando c’è di mezzo la religione, è anch’esso un passo indietro.
Lo scrittore franco-algerino Boualem Sansal è ora in carcere ad Algeri per ciò che ha detto e scritto. Nonostante ciò, alcuni, in particolare nella France insoumise, sono riluttanti a chiedere la sua liberazione...
Eppure dovrebbe essere ovvio, soprattutto se si è di sinistra! Ma sembra che ora si possa affermare di appartenere alla sinistra radicale e pulirsi i piedi coi diritti umani. Per alcuni, addirittura, va di pari passo. Questo atteggiamento è il peggiore della condizione umana: vigliaccheria, menzogna, ipocrisia, inganno, calcolo politico, abbandono di ogni dignità ed etica. Al di là della destra e della sinistra, è l’esatto opposto dei princìpi umanistici. I membri della France insoumise che si sono rifiutati di votare a favore della richiesta di scarcerazione di Sansal al Parlamento europeo sono degli anti-voltariani primari. Dei nemici della libertà. Collaboratori del fanatismo religioso. È imperdonabile lasciare che uno scrittore di 80 anni marcisca in prigione solo per le sue opinioni. Imperdonabile”.
(Traduzione di Mauro Zanon)