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(Ansa)
Un foglio internazionale
Shlomo Mantzur, storia di un vecchio ebreo
Sopravvissuto al pogrom del 1941 in Iraq, rapito nella sua casa al Kibbutz Kissufim, al confine con Gaza, la mattina del 7 ottobre 2023, ucciso da Hamas il primo giorno di guerra. Il sentimento che attanaglia la famiglia è di abbandono
Ci sono 700 chilometri e otto decenni tra le terribili parentesi alle due estremità della vita di Shlomo Mantzur” scrive Matti Friedman sulla Free Press. “Mantzur, un minuscolo falegname, padre di cinque figli e nonno di dodici, un uomo la cui unica stravaganza erano baffi spettacolari, si aspettava di concludere la sua vita nel kibbutz nel sud di Israele, dove riparava armadi e orologi e si prendeva cura del suo giardino. Aveva fatto del suo meglio per crescere figli israeliani lungimiranti, portando loro biscotti durante la ricreazione quando erano piccoli, senza mai gravarli del suo passato. Quando ho incontrato due delle sue figlie questa settimana a Ramat Gan, nel centro di Israele, si sono ricordate di lui che escogitava progetti artistici per i suoi nipoti e li riempiva di gelato a ogni visita. Il loro padre, ha detto Moshit, ‘trasmetteva ottimismo e viveva nel qui e ora’.
Shlomo Mantzur è stato rapito nella sua casa al Kibbutz Kissufim, al confine con Gaza, la mattina del 7 ottobre 2023, mentre migliaia di uomini armati palestinesi attaccavano le comunità nel sud di Israele. Se i bambini dai capelli rossi Ariel e Kfir Bibas erano famosi come i più giovani ostaggi israeliani, fino alla scorsa settimana, quando è stata confermata la loro morte, Mantzur era noto come il più anziano. Aveva 85 anni quando è stato rapito. Mantzur era nato a Baghdad, in Iraq, nel 1938. Nelle rare occasioni in cui parlava del suo paese natale, ricordavano le figlie, le storie tendevano ad avere un lieto fine. Era cresciuto a Baghdad in un periodo in cui la popolazione della capitale irachena era composta per un terzo da ebrei, un fatto impossibile da immaginare oggi. Raccontò una storia ai suoi figli su un operaio arabo nella piccola fabbrica di proprietà della famiglia di Mantzur, dove si producevano pacchetti di sigarette. La lunga tunica dell’operaio era rimasta incastrata in una macchina e lui stava per essere risucchiato negli ingranaggi, quando il piccolo Shlomo se ne accorse e spense la macchina appena in tempo. Raccontava una storia sulla preoccupazione frenetica dei suoi genitori, David e Marcelle, quando un giorno scomparve, per poi ricomparire ore dopo, illeso: si era intrufolato in un cinema ed era rimasto per più di uno spettacolo.
Fu solo all’inizio del 2023, sei mesi prima del suo rapimento, che Mantzur si sedette per scrivere di qualcos’altro che ricordava. Il motivo per cui scrisse in quel particolare momento è sconosciuto. Il 7 ottobre 2023, si è scoperto, non era la prima volta che gli assassini venivano a prenderlo. Aveva tre anni quando migliaia di rivoltosi musulmani riempirono le strade di Baghdad all’inizio dell’estate del 1941 armati di spade e coltelli. Si riversarono nelle strade e negli appartamenti degli ebrei e iniziarono a saccheggiare, stuprare e uccidere. ‘Entrarono a casa nostra, picchiando duramente mio padre e infliggendo anche a mia madre diversi duri colpi’, scrisse Mantzur. Quando il cane di famiglia cercò di proteggere i suoi padroni, gli aggressori l’uccisero. Mentre i rivoltosi saccheggiavano la casa, raccontò, corse di sopra, sul tetto. Sentì urlare e vide ‘un atto orribile che rimane nella mia memoria fino a oggi’. Il diario descrive l’omicidio di un bambino da parte di aggressori con coltelli. Le urla provenivano dalla madre del bambino. Aveva solo tre anni e registrò questa scena otto decenni dopo. Questa potrebbe essere un’impressione personale o qualcosa che aveva sentito in seguito da parenti più anziani. Non lo sappiamo. Ma sappiamo cosa stava descrivendo: gli eventi scatenati a Baghdad il 1° e 2 giugno 1941, ora ricordati come il Farhud. Il numero di ebrei uccisi in città in quei due giorni è solitamente stimato in 200, ma alcuni credono che sia molto più alto.
La ricercatrice Carole Basri, figlia di rifugiati ebrei iracheni, cita un documento scoperto di recente, scritto sei settimane dopo la rivolta, secondo cui oltre mille persone furono uccise o fatte sparire. I nazisti erano in ascesa nella Seconda guerra mondiale all’epoca, l’Olocausto era in corso in Europa e gli inglesi sembravano perdere la presa in medio oriente. Il potere in Iraq fu preso da un colpo di stato filo-nazista. La popolazione fu infiammata dalla retorica proveniente, tra gli altri, dal leader musulmano palestinese Hajj Amin al-Hussein, un collaborazionista nazista che all’epoca si trovava in Iraq. ‘Gli ebrei sono un abominio ovunque’, trasmise agli iracheni in arabo il famoso conduttore radiofonico filo-nazista Yunus Bahri alla fine di maggio del 1941. Fu quattro giorni dopo che la folla attaccò i vicini ebrei. Le truppe britanniche di stanza fuori Baghdad non si mossero per intervenire. I Mantzur furono salvati, secondo le figlie di Shlomo, dall’intervento di una vicina, una donna musulmana, che disse alla folla che la casa era sua. Ora è chiaro che il piccolo Shlomo Mantzur intravide un evento cruciale nella storia moderna del medio oriente. Il massacro del 1941 segnò la fine dell’antica comunità ebraica in Iraq, se non in tutto il mondo islamico, e prefigurava presumibilmente il destino di altre minoranze, come gli yazidi e i cristiani, sotto il dominio arabo musulmano. Nell’Iraq dell’infanzia di Mantzur, alcuni ebrei erano comunisti laici che cercavano la fratellanza con i musulmani iracheni. Altri speravano nell’emergere di un’identità arabo-ebraica che li avrebbe resi cittadini alla pari in un paese moderno. Pochi erano sionisti. Albert Memmi, il grande scrittore ebreo tunisino, avrebbe poi osservato che ‘non è il sionismo a causare l’antisemitismo arabo, ma il contrario’. Nel giro di un decennio, le vittime del Farhud, insieme a quasi tutta la comunità ebraica irachena, furono disperse, trasferendosi in Israele e altrove.
Quando Mantzur aveva tredici anni, la sua famiglia fuggì dall’Iraq per il nuovo stato ebraico, parte dell’esodo di massa e dell’espulsione dei primi anni 50. In totale, 800 mila ebrei lasciarono le loro case nel mondo islamico, la maggior parte dei quali divenne israeliana. A 16 anni Mantzur trovò una casa nel piccolo kibbutz di frontiera chiamato Kissufim, un gruppo di capanne al confine con la Striscia di Gaza. Sposò Mazal, la cui famiglia proveniva da Aleppo, in Siria, dove l’antica comunità ebraica era stata sventrata da saccheggi e incendi commessi dai musulmani siriani il 30 novembre 1947, il giorno dopo il voto delle Nazioni Unite per la spartizione della Palestina. I kibbutz vicino al confine di Gaza sono sempre stati associati alla sinistra politica di Israele e al desiderio di relazioni pacifiche tra ebrei e arabi, un punto che è stato spesso sollevato dal 7 ottobre 2023 sia dagli ammiratori dell’idealismo dei residenti sia dai critici che deridevano la loro ingenuità.
Quando ho incontrato le figlie di Mantzur, ho chiesto se il padre vedeva i palestinesi di Gaza come persone che avrebbero potuto essere dei buoni vicini, forse un giorno dei partner di pace. ‘No’, ha detto Moshit. ‘Li vedeva come una minaccia’. Eppure, la sorella maggiore di Moshit, Batya, mi ha detto che trattava chiunque, arabo o ebreo, con rispetto e ‘guardava dritto negli occhi chiunque incontrasse’. Non ha mai perso il suo arabo e parlava la lingua con sua moglie quando non voleva che i bambini capissero. La mattina del 7 ottobre 2023, migliaia di terroristi e civili palestinesi sono usciti dalla Striscia di Gaza e hanno travolto le comunità di confine di Israele, tra cui Kissufim. Nel kibbutz di Mantzur, gli aggressori hanno dato fuoco a una casa con due genitori e il loro figlio adolescente dentro, asfissiandoli. Per ore, non c’è stata traccia dell’esercito israeliano. Lo stato che avrebbe dovuto proteggere gli ebrei in medio oriente sembrava essere scomparso. Per 12, 24 o persino 36 ore, a seconda della loro posizione, gli israeliani sono stati alla mercé dei seguaci della più violenta corrente dell’islam, persone infiammate da una propaganda identica a quella trasmessa dalla radio irachena nel 1941. I terroristi hanno sopraffatto e ucciso i membri della squadra di sicurezza civile del kibbutz. Hanno assassinato sei lavoratori thailandesi e sono andati di casa in casa alla ricerca di altre vittime. Mantzur si stava nascondendo con Mazal nella loro casa quando gli uomini armati sono entrati sparando. Mazal si è nascosta, ha raccontato in seguito a un intervistatore del canale israeliano 11, ma l’hanno trovata. L’hanno lasciata, ma hanno legato il marito 85enne e lo hanno costretto a uscire. Mazal lo ha visto trascinato da uomini palestinesi per terra fino a Gaza e non lo ha mai più visto.
Ho visto per la prima volta il volto vivace di Shlomo quando qualcuno ha messo un manifesto a una fermata dell’autobus vicino a casa mia a Gerusalemme subito dopo l’inizio della guerra. Ho letto la sua storia. L’11 febbraio, in mezzo ai nuovi rilasci di ostaggi, i rappresentanti delle Forze di difesa israeliane hanno contattato la famiglia di Mantzur con nuove informazioni. Mantzur è stato ucciso il primo giorno di guerra, il 7 ottobre 2023, o subito dopo. Il sentimento che attanaglia la famiglia durante tutto questo periodo, mi ha detto Moshit, è di abbandono. ‘Nessuno ci ha protetti il 7 ottobre’. I residenti sopravvissuti di Kissufim dovrebbero tornare alle loro case abbandonate quest’estate, ma molti hanno troppa paura per andarci. Non pensano che saranno al sicuro. Quando Shlomo Mantzur arrivò qui da bambino, un decennio dopo l’omicidio di massa a cui aveva assistito in Iraq, lo stato di Israele gli diede una nuova vita in un paese in cui la sua gente era la maggioranza, dove sarebbe stato protetto da un esercito ebraico e liberato dagli incubi del passato. Aveva una vita piena e felice. Ma otto decenni dopo essere corso sulle sue gambe di tre anni fino al tetto di Baghdad per sfuggire agli assassini, loro sono tornati a prenderlo di nuovo, e lui era di nuovo solo. Quando ho incontrato le sue figlie, stavano aspettando notizie sul ritorno dei suoi resti da Gaza”.
(Traduzione di Giulio Meotti)
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