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Un Foglio internazionale
L'Europa riscopra la forza
La domanda “Cos’è l’Europa?”, dice il filosofo Pierre Manent, ci costringe a dare una risposta pratica e politica: “E’ ciò che difendiamo difendendo l’Ucraina”
"Le esagerazioni e gli eccessi che escono così naturalmente dalla bocca del presidente Trump sono facilmente contagiosi” scrive sul Figaro il filosofo Pierre Manent. “Chi lo ascolta rischia a sua volta di enfatizzare la radicalità dei cambiamenti che sta apportando. Prima di commentare il ‘rovesciamento delle alleanze’ generato dagli scambi diplomatici tra russi e americani, è importante ricordare che l’allontanamento americano dall’Europa è un movimento in atto da molto tempo. L’orientamento verso l’Asia, la richiesta di un massiccio aumento dei bilanci militari europei così come la ricerca di un ‘reset’ con la Russia sono tutti dossier sul tavolo da molti anni (…).
Gli Stati Uniti d’America sono stati fondati da europei fuggiti dall’Europa per poter vivere liberamente la propria fede religiosa e, più in generale, per sviluppare le proprie capacità e migliorare la propria condizione. Costitutiva dell’autocoscienza degli americani è la convinzione della loro superiorità morale rispetto agli europei, superiorità di cui l’ineguagliabile prosperità e forza degli Stati Uniti sono la manifestazione probante. Questo fatto di civiltà è stato in qualche misura attenuato o corretto dagli imprevisti della storia, in particolare dalla partecipazione decisiva degli americani alle due guerre mondiali che hanno visto l’Europa protagonista. Se da un lato queste guerre hanno sancito la supremazia americana, dall’altro hanno fatto sì che, per un secolo, americani e europei – questi ultimi in numero variabile – fossero gli Alleati.
Il tono del discorso di J.D. Vance a Monaco, a prescindere dal giudizio sul contenuto, dimostra in ogni caso che questo sentimento di alleanza è completamente scomparso dalla coscienza di questa giovane generazione americana. Il movimento trumpiano può essere definito come una rivolta della nazione americana contro l’impero americano. Intere fasce di questa nazione sono state distrutte dalla deindustrializzazione, rovinate dal flagello degli oppioidi e in generale dal deterioramento della salute pubblica; la nazione è stata profondamente divisa da un progressismo aggressivo che ripudia l’intera storia americana e, ridimensionata, deve far fronte ai suoi obblighi di impero, che sono tanto più onerosi in quanto l’ideologia imperiale porta oggi con sé una missione umanitaria. La valutazione di Donald Trump su questa frattura tra nazione e impero è che il ‘mondo’, amici e nemici, vive a spese degli Stati Uniti. Le cifre che brandisce sono segnali piuttosto fantasiosi volti a illustrare la seguente diagnosi: l’America non può più permettersi di essere sempre in guerra, né di mantenere, e quindi conservare, il suo impero (…).
E’ in Europa che l’impegno americano è il più antico e il più esteso, ma da trent’anni a questa parte, non è più vissuto come un impegno significativo, ma piuttosto come un peso. La guerra in Ucraina, dopo aver costretto gli Stati Uniti a un nuovo impegno – seppur timido e costoso – è diventata un motivo urgente di disimpegno e un’opportunità da cogliere (…). E’ evidente che noi non possiamo più contare sulla protezione americana, anche se l’aggressione russa l’ha resa più necessaria. ‘Noi’ chi? Gli europei, naturalmente, ma cosa significa? Alcuni europei non si sentono minacciati dalla Russia. Altri, che si sentono tra i più minacciati, non vogliono lasciare la mano dello Zio Sam, che è diventato Zio Paperone. La minaccia russa ci unisce, ma ci divide anche. L’invasione dell’Ucraina è stata un’aggressione brutale e massiccia, preparata da molto tempo (a partire dal 2014), commessa a sangue freddo e portata avanti con tutti i mezzi (tranne le armi nucleari) per tre anni. Anche se nessuno può affermare di conoscere gli obiettivi bellici finali del presidente russo, sembra chiaro che la sua intenzione sia quella di cancellare l’Ucraina come nazione ‘realmente esistente’. I responsabili russi parlano con disprezzo di ‘ciò che si chiama Ucraina’ e fingono di chiedersi se tra qualche tempo ‘ci sarà ancora un paese chiamato Ucraina’. Tre anni di guerra hanno dimostrato da un lato il coraggio, la costanza e la competenza degli ucraini, e dall’altro, con la sua propensione alla crudeltà, le debolezze dell’esercito russo che, nonostante la sua superiorità numerica e di equipaggiamento, riesce a fare solo piccoli progressi a costo di enormi perdite (…).
L’Unione europea è stata costruita sul presupposto di una pace definitiva che non avrebbe avuto bisogno di essere difesa. Dapprima perché si contava sulla garanzia americana, poi, sempre più spesso, perché si è abbracciata l’idea grandiosa di un impero dei diritti, destinato a espandersi all’infinito grazie alla propria influenza, e che avrebbe liberato l’Europa da quella vecchia reliquia barbarica che è la nazione. Amare e difendere ciò che è proprio, soprattutto se si tratta del ‘proprio paese’, è visto dall’opinione dominante come la fonte di ogni ingiustizia. Questa ideologizzazione dell’Europa sta suscitando un profondo risentimento in una parte significativa della popolazione europea, con il risultato che alcuni hanno una simpatia fuori luogo per il regime di Vladimir Putin. Lo spettacolo delle contraddizioni dell’opinione pubblica può essere demoralizzante. Da un lato, alcuni dei più appassionati dell’indipendenza dell’Ucraina non hanno alcun pensiero per l’indipendenza della Francia; dall’altro, un numero non trascurabile di coloro che amano elogiare le glorie e le grazie della Francia trova qualcosa da ammirare in un regime russo che non ha altra ambizione se non quella di farsi temere e non lesina in crudeltà e menzogne. L’Europa deve ritrovare la sua coerenza morale, non sognando un ‘esercito europeo’, ma rinnovando la continuità tra appartenenza a una nazione e appartenenza all’Europa. Non può esistere un ordine umano sostenibile se non si annodano insieme giustizia e forza. In Europa, è nella forma nazionale che si è prodotto questo nodo, variando a seconda dei secoli e dei regimi. Qui sta l’ironia dell’integrazione europea. Agli occhi dei più lucidi, essa doveva superare la debolezza delle nazioni in un’epoca che Raymond Aron definiva l’età degli imperi. In realtà, è apparso sempre più chiaro che l’integrazione europea, nella sua forma più intima e potente, si basava sulla premessa che è possibile e ovviamente desiderabile vivere di sola giustizia – senza l’uso della forza. Poiché era la forma-nazione a garantire questa alleanza in Europa, si credeva che la cancellazione della nazione avrebbe portato all’avvento della giustizia pura, in altre parole, di un’umanità senza frontiere. Invece di continuare a essere un concerto di nazioni, l’Europa sarebbe così diventata il paese dei popoli in generale, in cui, per ordinare la vita umana, sarebbe bastato gestire i flussi – di persone, di merci e di idee (…). La forma della nostra vita comune, sia materiale che spirituale, ha costantemente bisogno di essere prodotta e difesa, a volte con grande urgenza. La guerra in Ucraina, riportando al centro queste necessità, dovrebbe porre fine alle nostre futili dispute. Alla domanda ‘Che cos’è l’Europa?’ ci costringe a dare questa risposta pratica e politica: l’Europa è ciò che difendiamo difendendo l’Ucraina”.
(Traduzione di Mauro Zanon)

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