Misano e motori, una storia d'amore
12 piloti su 26 italiani del Motomondiale sono romagnoli. Ecco perché questo Gp è diverso dagli altri
"Un giorno il mio babbo Sergio arrivò con un furgone, disse ‘oh, va’ che dentro c’è una cosa per te’ e infatti dentro c’era un cinquantino. Averne uno a quattordici anni non era come adesso, si prendeva la roba tutta scassata, e dopo io ci avevo messo sei mesi per rifargli il telaio, il serbatoio l’avevo fatto grigio-argento che fiammava. All’epoca avere una moto era un sogno". Il primo a portarci nella terra dei motori è Vito, 56 anni, venuto su nella zona Celle di Rimini, anche se poi tutti conoscono il figlio, Marco Bezzecchi, che corre il Mondiale ed è uno dei suoi talenti più puri. Vito è cresciuto in un’officina, il papà sistemava i furgoncini, roba piccola, lì dentro gli è scoppiata la passione del motore: “Spataccavo, ci mettevo le mani, le moto qui le chiamiamo così: motore”. E’ una passione che si tramanda di padre in figlio, da generazioni. Sarà l’aria, dicono quelli che abitano da queste parti, nel triangolo tra la Romagna, le Marche e San Marino, un posto dove nel giro di centocinquanta chilometri trovi una dozzina di piste per le mini-moto e i go-kart, un lembo di terra che in realtà è una gigantesca pista infinita, dove si sente il rumore delle marmitte, che poi non è altro che il rumore dei desideri. “Ai bambini si spiegano le gare, si raccontano i piloti come delle favole, e la domenica è il motore che pervade tutto”.
Succede da sempre, ma questa domenica un po’ di più. C’è il Gp di Misano, della Riviera di Rimini che in sostanza è “il gran premio di casa, dove la pressione che hai addosso va alle stelle: qualche volta ti aiuta e qualche volta no. Io, da ex pilota, lo amavo. Trovi i tuoi amici a ogni curva, è bellissimo”. Loris Reggiani è cresciuto a Forlimpopoli, a pochi chilometri da Forlì. Due volte vicecampione del mondo, anche Loris è uno di quelli che la coscienza del motore l’ha avvertita dentro di sé, come un richiamo a qualcosa di atavico. “Esci di casa e c’è sempre qualcuno pronto a dirti vieni, ti aiuto io, vuoi andare in moto? non c’è problema. Il primo che aiutò me fu un amico di mio zio, Giorgio Di Nunzio si chiamava: ‘Sei magro e piccolo: te bisogna che corri per forza’. Vendevo bibite e liquori e a sedici anni mi comprai la prima moto: 1 milione e 300 mila lire. Un altro che mi aiutò fu Orlando Petraci, un meccanico che frequentava il Galliano Park, il mio bar: ci andavano tutti i motociclisti. C’era una pista di pattinaggio, ora ce n’è una di mini-moto”.
Il motore è dappertutto, talmente diffuso che non sembra tanto strano pensare ai piloti italiani del Mondiale: 12 su 26 arrivano dalla Romagna: a Riccione è nato Mattia Pasini, a Cattolica Niccolò Antonelli, Franco Morbidelli è di Babucce, Andrea Dovizioso arriva da Forlì, Valentino Rossi e il suo fratellino Luca Marini da Tavullia. E se non ci sei nato ci vieni perché l’aria buona per correre la trovi soltanto qui. Quella di Misano è la loro pista, la pista di casa. Il fratello di Vale la vede dalla finestra della cameretta. Ma tutti sono venuti su con lo stesso, insondabile, implacabile desiderio di motore e di velocità. E’ successo anche a Enea Bastianini, che è il miglior rookie della classe di mezzo. “Aveva tre anni e quando vedeva una moto riusciva a staccarsi dal seggiolone della macchina e gridava: moto, moto”. Emilio, il papà di Enea, i motori aveva imparato a guardarli dal suo babbo, che faceva il meccanico (anche se in aeronautica), e dai turisti “che riempivano Rimini e la Riviera, c’erano i locali zeppi e i motociclisti: una roba bellissima”. Una roba che continua, non smette mai. E che in questo fine settimana raggiunge l’apoteosi. Dev’esserci per forza qualcosa di profondo, è una questione di sangue. Pilota negli anni Settanta e Ottanta, Mauro Mordenti è venuto su a Roma, “ma papà Sante era di Forlì e io quel sangue romagnolo l’ho sempre sentito scorrere dentro”. Sante gli raccontava di tutti quei piloti della Romagna che erano come leggende. Erano gli anni in cui si correvano sei classi, duecento piloti in tutto. E Misano era sempre il momento più atteso.
Tra il ’59 e il ’71 le moto hanno riempito le strade delle cittadine romagnole, anni in cui, racconta Luciano Sansovini, 72 anni, ex commerciante di mobili e ancora oggi motociclista di moto d’epoca, si correva la Moto Temporada Romagnola: “35 giornate di gare, 127 in tutto, legavano le balle di fieno agli alberi, usavano le poche rotonde che c’erano e s’inventavano i circuiti sulle strade di Cesenatico, Rimini, Riccione”. Finì tutto nell’aprile del ’71 con la morte di Angelo Bergamonti. L’anno dopo aprirono la pista di Misano. Che ha rafforzato la convinzione e la passione di quelli che vivono da queste parti, nel cuore della terra del mutòr. Gente come Denis e Stefano Zocchi, i fratelli che gestiscono la pista di San Mauro. La aprì Giuliano, il loro papà, nel 1989. “Qui ci sono passati tutti, da Vale al Dovi, e ancora ci vengono con i loro amici a fare le sfide con le mini-moto”. Da giugno a settembre girano su questa pista più di mille bambini, Denis e Mauro gli insegnano che cos’è la moto, l’equilibrio, come si cade e come ci si rialza, li vestono con la tuta, le protezioni e il casco, “e facciamo il battesimo: li accompagniamo in pista e poi li lasciamo andare, quando tornano ai box scatta l’applauso. E’ bellissimo, nei loro occhi vedi che prendono sicurezza, fiducia, e si accende l’amore”. Il Gp di Misano è tutto questo e di più, sintesi di migliaia di storie. O, come hanno detto alzando le spalle quelli che sono venuti qui a capire cosa c’è di speciale in questa terra, è questione di cultura.
Il Foglio sportivo - in corpore sano