Il chip che non c'era

    Venni assunto come capo del “Progetto Busicom” all'inizio dell'aprile 1970, meno di un mese dopo la nascita di Marzia. Iniziai a lavorare nel dipartimento MOS Design, diretto da Leslie Vadász, che riferiva a Andy Grove, il direttore delle operazioni. A quel tempo, l'Intel era una società di startup con circa centoventi dipendenti, di cui trenta-quaranta erano personale tecnico e gestionale e il resto operai di produzione, per la maggior parte giovani donne.

    Il primo giorno di lavoro incontrai Stan Mazor, un ingegnere che lavorava per Ted Hoff, il direttore del piccolo gruppo di Application Research. Stan mi raccontò che la società giapponese Busicom aveva richiesto all'Intel di progettare una dozzina di chip LSI custom sulla base del loro progetto logico fatto in Giappone. […]

    Quando vidi il piano promesso alla Busicom, rimasi letteralmente a bocca aperta: erano rimasti meno di sei mesi per progettare quattro chip, uno dei quali, la CPU, era al limite di ciò che era tecnologicamente possibile: un chip di quella complessità e prestazioni non era mai stato realizzato prima. […]

    Il mio progetto iniziava dunque con più di cinque mesi di ritardo rispetto al piano promesso al cliente, e inoltre la durata di ogni sua fase era stata sottovalutata, soprattutto riguardo la CPU, che era di gran lunga il chip più critico e complesso mai prima realizzato.

    Fortunatamente ero estremamente motivato a mettermi alla prova nel mio nuovo ambito di attività. Comprendevo i sistemi informatici, sapevo progettare sia la logica sia i circuiti e avevo esperienza nella progettazione di chip e anche nello sviluppo di processi MOS. Soprattutto, conoscevo intimamente le possibilità della tecnologia MOS SGT, un processo che quasi nessuno allora conosceva.

    La mia preparazione era una combinazione estremamente rara, dato che già a quel tempo gli ingegneri erano molto specializzati. Per cui mi era chiaro che, se non avessi potuto farlo io, nessun altro avrebbe potuto farlo. E, infatti, avevo un asso nella manica: la mia invenzione più recente, il carico bootstrap con il gate di silicio, di cui l'Intel non era ancora a conoscenza e senza il quale non sarebbe stato possibile realizzare il microprocessore. […] Finalmente potei concentrarmi sulla progettazione della “famiglia 4000”, il nome con cui avevo ribattezzato il progetto.

    Il mio compito era di dirigere il progetto e anche di progettare i quattro chip della Busicom, portandoli fino alla produzione. A causa della mancanza di metodologia, di infrastruttura e di personale esperto di chip logici, fui costretto a svolgere molte più attività rispetto a quelle di un tipico capoprogetto che si fosse trovato a lavorare per una società già esperta in questo settore. In aggiunta, dovevo anche occuparmi della progettazione logica dei chip, che normalmente era fatta e verificata dal cliente.

    Decisi di iniziare il design secondo la sequenza 4001, 4003, 4002 e 4004, perché così avrei potuto sviluppare incrementalmente la metodologia e i circuiti necessari per progettare il chip più complesso, il 4004. Inoltre, l'Intel avrebbe potuto riacquistare la fiducia della Busicom, dimostrando che i chip più semplici avrebbero funzionato al primo silicio. […]

    Finalmente venne il momento di iniziare il progetto logico del 4004, anche se ero rallentato considerevolmente dal dovermi occupare degli altri tre chip, ognuno dei quali era in una diversa fase di sviluppo. Dovevo anche progettare e costruire un tester per il debug e la caratterizzazione, che doveva essere pronto per quando avrei ricevuto il primo silicio del 4001, due mesi dopo.

    Fortunatamente Hal Feeney, un ingegnere progettista di chip, e Paul Metrovich, un tecnico elettronico, mi furono assegnati per aiutarmi nella progettazione e nella costruzione di tale tester.

    Avevamo a disposizione un sistema di memoria in disuso per creare un generatore programmabile di pattern, cui aggiungemmo nuova elettronica di controllo, un lettore di nastri di carta, nonché l'elettronica di pilotaggio e misura dei segnali di pin (pin electronics). L'intero tester fu pronto solo pochi giorni prima di ricevere i primi wafer del 4001.

    Dopo che ebbi progettato una buona parte della logica del 4004, Shima si offrì di completarla, in particolare la sezione di controllo, che richiedeva parecchia attenzione. Ebbi fiducia che avrebbe potuto eseguire quel compito dopo l'apprendimento acquisito assistendomi con il progetto dei tre chip precedenti.

    Ormai avevo anche perfezionato la metodologia, e in particolare il metodo di combinare la logica e il progetto circuitale in un singolo documento, che conteneva anche la nozione di come il chip sarebbe stato organizzato nel layout. In questo modo, venivano evitati i potenziali errori di traduzione nel passaggio dal diagramma logico allo schema circuitale e il layout veniva facilitato. Inoltre si potevano stimare più efficacemente le capacità di carico sui vari circuiti, e quindi dimensionare opportunamente i transistori basandosi sullo stesso documento.

    Dati i tempi estremamente ristretti, dovetti iniziare il layout del 4004 prima ancora che la progettazione logica fosse completata. Pertanto, mi coordinai con Shima in modo da poter mantenere i tecnici impegnati e ottenere un'eccellente densità di layout mentre il design era ancora in corso. Era come costruire un edificio prima che il piano fosse finito. Per realizzare un chip al limite di ciò che poteva essere prodotto economicamente, non potevo permettermi di sprecare nessun'area di silicio.

    Barbara Manness, impiegata all'Intel fin dall'inizio, si aggiunse a Julie e Rod nel team di layout del 4004. Tuttavia, siccome nessuno di loro aveva mai realizzato prima d'ora il layout di un chip di logica random così complesso, dovevo fare un'opera continua di supervisione e di coordinamento.

    Ogni tecnico aveva la propria tavola di disegno e ognuno di loro lavorava su un foglio separato di mylar. Tutti questi fogli dovevano poi unirsi insieme con precisione perfetta. Per me si trattò di una vera e propria sfida d'immaginazione riuscire ad avere una visione d'insieme del layout finale, una volta che i pezzi separati fossero stati riuniti insieme.

    Il layout del 4004 durò circa quattordici settimane con tre tecnici, per un totale di quarantadue settimane-uomo, ben più delle quattordici settimane-uomo previste da Vadász nel piano originale promesso alla Busicom!

    Dopo aver completato il layout del 4004, seguii il mio impulso di firmare con le mie iniziali, F.F., la mia opera. Proprio come fanno gli artisti che autografano le loro creazioni.

    Sapevo che il “silicon design” era l'essenza del primo microprocessore. Ogni tratto era necessario, funzionale, significativo ed economico e contribuiva anche all'effetto estetico complessivo. Era come un'opera d'arte che stabiliva un nuovo stato dell'arte della microelettronica.

    Questo impulso si sarebbe dimostrato molto utile in seguito, quando l'Intel avrebbe tentato di togliermi la paternità del 4004 per punirmi di aver lasciato la società per fondare la rivale Zilog. Le mie iniziali erano come una “pistola fumante”, una prova reiterata milioni di volte e presente in ogni singolo 4004 prodotto: un segno che non poteva più essere cancellato. […]

    Finalmente giunse il gran giorno in cui ricevetti i primi wafer del 4004. Ecco arrivato il momento della verità! Era la fine della giornata lavorativa, pochi giorni prima del capodanno del 1971, e molti dipendenti avevano già lasciato il laboratorio. Se il 4004 avesse funzionato, avrei rispettato i tempi promessi alla Busicom quasi nove mesi prima.

    Ero molto teso. Per fortuna non c'era nessuno attorno a me che potesse vedermi in quello stato. Con mani tremanti misi il primo wafer sul prober, un apparecchio speciale per creare un contatto elettrico temporaneo sui chip che sono ancora integrati sul wafer.

    Abbassai le sonde sul primo chip, aspettando di vedere l'attività ormai familiare nel databus, ma invece non accadde nulla. Senza scoraggiarmi, mi dissi: “Oh, dev'essere un chip difettoso”.

    Abbassai la sonda su un altro chip, e poi su molti altri ancora, ottenendo sempre lo stesso risultato. “Forse questo è un wafer difettato”, pensai. Allora provai un altro wafer, ma il risultato fu esattamente lo stesso.

    A questo punto, sudavo copiosamente. Pensai: “Niente funziona! Come ho potuto sbagliare così di brutto?”. Decisi di guardare i chip al microscopio, ed ecco che il problema si rivelò con chiarezza: durante il processo di fabbricazione, la maschera del contatto sepolto non era stata usata, evidentemente per la svista di un operatore. Perciò la maggior parte dei transistori non era collegata a nulla, e quindi l'assenza di vita era ovvia.

    Purtroppo la tabella di marcia era stata irrimediabilmente compromessa da un errore banale della produzione, che mi sarebbe costato circa tre settimane di ritardo. Che delusione!

    Circa tre settimane dopo ricevetti una nuova serie di wafer del 4004. Questa volta nulla era stato trascurato, e me ne assicurai controllando subito un wafer sotto il microscopio prima di caricarlo sul prober. Come la volta precedente, ricevetti i wafer alla fine della giornata, mentre il laboratorio era quasi deserto, e decisi di passare la maggior parte della notte a sondare il 4004.

    Respirai molto più liberamente dopo che i segnali familiari apparvero sull'oscilloscopio. Ora tutto stava procedendo meravigliosamente! Continuai a sondare fino a circa le 4 del mattino, riscontrando che tutto funzionava come previsto, finché, esausto, me ne tornai a casa.

    Non appena mi sentì entrare, Elvia si svegliò subito dal sonno leggero, sopravvenuto durante la lunga attesa. Chiese trepidante: “Com'è andata?”. Eccitatissimo, esclamai: “Funziona!”. Ci abbracciammo quasi travolti da sentimenti di felicità ed euforia, consci che era successo qualcosa di epocale. In quella notte di gennaio del 1971 nacque il primo microprocessore!

    Avevo da poco compiuto ventinove anni e mi resi conto che nove anni prima, a vent'anni, avevo finito di costruire un altro computer, realizzato con migliaia di transistori al germanio e altri componenti discreti. Quel computer aveva all'incirca le stesse caratteristiche di questo, con la differenza che il nuovo occupava una singola scheda invece di alcune centinaia, era dieci volte più veloce e consumava quasi mille volte meno energia. Per non parlare del costo irrisorio al confronto! Com'erano cambiate le cose in soli nove anni!

    Nelle due settimane successive continuai a controllare il 4004 e trovai due o tre problemi minori, che diagnosticai e risolsi rapidamente.

    Nel frattempo, dopo il ritorno di Shima in Giappone, la Busicom aveva costruito un intero simulatore della famiglia 4000, in cui una memoria RAM faceva le veci dei 4001 (ROM) e c'era un simulatore completo del 4004, in modo che il firmware della calcolatrice Busicom potesse essere convenientemente sviluppato in parallelo, verificato e modificato. Ciò era necessario perché il 4001 era una ROM programmabile con maschera metallica che richiedeva diverse settimane per essere fabbricata, e quindi il suo uso sarebbe stato appropriato solo quando il firmware fosse stato completamente privo di errori.

    Poco dopo aver sentito la buona novella che il 4004 funzionava, Shima mi inviò i quattro codici ROM completamente verificati, che contenevano il firmware del loro primo prodotto: la calcolatrice stampante Busicom 141-PF.

    Ora potevamo fabbricare i 4001 in parallelo con la correzione finale del 4004, senza influire sulla tabella di marcia della calcolatrice. E a metà marzo, quando ricevetti il primo silicio revisionato del 4004, avevamo completato anche i 4001.

    La Busicom a quel punto poteva provare il funzionamento dell'intera calcolatrice, utilizzando un prototipo ingegneristico che era pronto per ricevere tutti i componenti mancanti. Quando la calcolatrice venne accesa, funzionò perfettamente con tutti i chip della famiglia 4000. Un risultato fantastico!