Ogni passo avanti “frustrato”

David Carretta

    Bruxelles. Sui migranti il governo italiano non vuole un accordo nell'Unione europea, non ha interesse a una soluzione condivisa e corre un grosso rischio: dopo la probabile chiusura della missione Sophia che opera al largo della Libia contro i trafficanti di esseri umani e addestra la Guardia costiera libica, l'Italia potrebbe ritrovarsi esclusa dall'Europa senza controlli alle frontiere di Schengen. E' questa l'aria che prevale nelle cancellerie europee, nel momento in cui il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, minaccia un nuovo braccio di ferro con i partner europei sui migranti a bordo della Mare Jonio. La Commissione “rinnova il suo appello a tutti gli stati membri di tenere a mente innanzitutto e soprattutto l'imperativo umanitario e di contribuire a una rapida soluzione”, ha detto ieri un portavoce dell'esecutivo comunitario: il caso della Mare Jonio “evidenzia ancora una volta quanto sono urgenti meccanismi prevedibili sugli sbarchi”. (Carretta segue nell'inserto IV)

    Il problema sta proprio qui: di meccanismi prevedibili sugli sbarchi si discute dal primo vertice europeo al quale ha partecipato Giuseppe Conte nel giugno 2018, rivendicando una grande vittoria perché per la prima volta si sarebbe affermato che “chi sbarca in Italia sbarca in Europa”. Lo slogan era durato pochi giorni: il tempo per l'Ue di scoprire che il governo italiano non aveva alcun piano oltre a creare confusione e, soprattutto, nessuna intenzione di attuare l'altro impegno dell'accordo del giugno 2018, cioè creare dei “centri sorvegliati” dove trasferire chi sbarca per fare la distinzione tra richiedenti asilo (da redistribuire nel resto dell'Ue) e migranti economici (da rimpatriare nei paesi d'origine). Sono seguiti gli scontri sull'Aquarius, su Open Arms e sulle altre navi delle ong, la chiusura e riapertura dei porti alle imbarcazioni militari di Sophia, il ricatto esplicito della Diciotti, le dichiarazioni di guerra a Malta, gli insulti alla Francia, le posizioni sempre più contraddittorie sulla riforma di Dublino. L'Ue oggi è giunta a una conclusione: “L'Italia non vuole arrivare a un accordo” perché “non ha interesse”, dice al Foglio l'ambasciatore di uno dei 28 stati membri: “Siamo pronti a una responsabilità collettiva su rifugiati con i ricollocamenti e sui migranti economici con i rimpatri, ma l'Italia non vuole cambiare il suo sistema”. L'ambasciatore rappresenta uno di quei paesi in cui arrivano, con i movimenti secondari, centinaia di richiedenti asilo che dovrebbero restare in Italia. L'irritazione è condivisa da altri diplomatici. “Ogni progresso viene frustrato dal governo italiano”.

    Nel breve periodo, la chiusura di Sophia il 31 marzo infliggerebbe un danno significativo agli interessi italiani. Dopo aver presentato decine di possibili compromessi – compresa l'ipotesi di togliere la componente navale dalla missione – Federica Mogherini ha rinunciato e constatato che non ci sono i “movimenti” necessari degli stati membri per salvare l'operazione. Il mandato di Sophia prevede la lotta ai trafficanti di migranti, l'applicazione dell'embargo sulle armi e la lotta contro il traffico clandestino di petrolio. Dallo scorso luglio le navi di Sophia si sono rarefatte nel Mediterraneo centrale: la Germania ha deciso di smobilitare a inizio febbraio, la Francia se ne è appena andata, entrambi per mancanza di chiarezza sul futuro della missione. Ma Sophia continua ad addestrare la Guardia costiera libica e con i suoi aerei ad avere una visione sui traffici al largo della Libia. Questi asset non saranno più a disposizione dell'Italia. Così lunedì Enzo Moavero Milanesi si è affrettato a dire che il governo Conte sta ancora “valutando”, che “c'è tempo fino alla fine di marzo” e che una proroga tecnica “è tra le possibilità”. In realtà, gli altri stati membri hanno messo una pietra tombale sul negoziato “italo-italiano” su Sophia (tra il ministero dell'Interno da un lato, quelli di Difesa e degli Esteri alleati a Mogherini dall'altro). Grazie al governo, l'Italia dovrà fare da sola.

    Nel medio periodo, il danno rischia di essere ancora più grande sul piano politico. L'Italia è il “paese chiave” del dibattito che si aprirà nell'Ue sui migranti dopo le elezioni europee, spiega l'ambasciatore: “Questo è il pericolo per Schengen”. Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha evocato un reset di Schengen: chi non rispetta le regole o la solidarietà è fuori. La leader della Cdu, Annegret Kramp-Karrenbauer, è sulla stessa linea. Se il governo Conte non diventerà cooperativo, se non modificherà le sue politiche per aumentare i rimpatri, se non si assumerà le sue responsabilità sui movimenti secondari, l'Italia potrebbe essere sbattuta fuori dall'Europa senza frontiere.

    David Carretta