Perché il revisionismo delle crisi bancarie può essere scivoloso

Alberto Brambilla

    Roma. La sentenza della Corte di giustizia europea che martedì ha annullato la decisione della Commissione europea di definire “aiuto di stato” l'intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) in favore di Banca Tercas nel 2014 sta galvanizzando Banca d'Italia e l'Associazione bancaria italiana (Abi) che avevano impugnato la valutazione di Bruxelles chiedendone l'annullamento. La decisione positiva dal punto di vista della Banca centrale e dell'Abi ha però motivato immediatamente una polemica sulla teoria di crisi bancarie negli anni passati, superando il caso della Cassa di Teramo oggetto della pronuncia. L'oggetto della diatriba con la direzione generale per la Concorrenza guidata da Margrethe Vestager riguarda la risoluzione di quattro banche del centro Italia Etruria, Chieti, Ferrara e Marche; caso nel quale la Corte ovviamente non si addentra. Lo fa l'Abi. “Quell'intervento era totalmente legittimo e ora il tribunale europeo lo dimostra: cosi erano pure legittimi gli interventi pensati dal Fitd per le quattro banche, predisposti innanzitutto per la Cassa di Risparmio di Ferrara, ma bloccati dalla Commissione europea in modo illegittimo, come ora evidenziato dal Tribunale europeo”. Il problema è che le quattro banche sono state poste in risoluzione nel dicembre 2015 con il cosiddetto “decreto salva banche” da parte del governo Renzi, oggetto di una campagna mediatica feroce contro il ministro Maria Elena Boschi il cui padre era amministratore della banca Etruria di Arezzo. La risoluzione applicava la direttiva europea Brrd per cui anche ad azionisti e obbligazionisti vengono inflitte perdite. A rimetterci sono stati anche investitori comuni possessori di obbligazioni subordinate, remunerative perché maggiore rischio di quelle ordinarie, che le avevano acquistate. Da lì una lunga e arcinota polemica sui “risparmiatori traditi” che hanno chiesto il ristoro dagli investimenti persi. I media, in questi giorni, rilanciano una valutazione filtrata da Banca d'Italia: “Se l'intervento del Fitd non fosse stato configurato come aiuto di stato, l'operazione di salvataggio delle quattro banche da parte del Fitd non avrebbe comportato il sacrificio dei diritti dei creditori subordinati e sarebbe avvenuta valutando le sofferenze delle banche a valori di bilancio”. C'è dunque l'intenzione di ripercorrere le crisi bancarie nazionali per valutare – a posteriori – come si poteva risolverle altrimenti alla luce della recente pronuncia della Corte europea. Tuttavia l'operazione “ritorno al passato” è scivolosa. La Commissione fece sapere che non era possibile un intervento obbligatorio del Fondo sulle quattro banche perché si esponeva a passare per aiuto di stato. Ma nemmeno ci fu disponibilità a intervenire da parte del sistema creditizio in modo volontario. E' la Banca d'Italia nella sezione approfondimenti sul suo sito alla sezione “Domande e risposte sulla soluzione delle crisi delle quattro banche poste in ‘risoluzione'” a dire che “per le quattro banche poi poste in risoluzione non è stato possibile al sistema bancario raccogliere al suo interno il necessario consenso a mettere insieme una somma molto maggiore”, ovvero rispetto ai 300 milioni di euro messi a disposizione per Tercas dal Fondo partecipato dagli istituti bancari. Oltre a un problema di praticabilità motivato dall'opposizione della Commissione c'era dunque una questione disponibilità delle banche a intervenire volontariamente per i quattro istituti in toto. La sentenza non dovrebbe convincere a modificare il passato, semmai “apre una nuova strada per la risoluzione delle crisi bancarie della zona euro”, come ha detto ieri Andrea Enria, responsabile per la vigilanza della Banca centrale europea. Ovvero che sarà possibile usare il Fondo, che ha una disponibilità di circa 1,5 miliardi, per eventuali futuri soccorsi a intermediari di piccole dimensioni. C'è però una domanda che ritornerebbe in quel caso: le banche sane sarebbero disposte a usare altre risorse per aiutare quelle in dissesto? Troverebbero il consenso per farlo?

    Alberto Brambilla

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.