Dopo la Basilicata, Salvini sonda la Lega da sola per il Piemonte
Roma. Con l'ansia un po' scomposta di chi non si rassegna a riconoscere la disfatta, Michele Dell'Orco è stato tra i primi a inaugurare una nuova formula di analisi della sconfitta: quella della vittoria combinata. “Le due forze politiche al Governo pare che siano anche le prime due forze in Basilicata”, ha twittato di buon mattino il sottosegretario ai Trasporti del M5s. Facendo come chi, non potendo celebrare il proprio successo, si sforza di gioire per la vittoria dei proprio alleati, quasi fingendo di ignorare che, però, questi ultimi condivideranno con altri il loro trionfo. “Vuol dire che per Di Maio il cambiamento siamo noi”, se la ridevano infatti, all'ora di pranzo, ministri e sottosegretari grillini nelle loro chat.
E però, dietro all'apparenza di entusiasmi ingenui e spropositati per l'ennesimo terzo posto alle regionali – dopo quelli già racimolati in Abruzzo, in Sardegna e in Friuli – c'è in verità una convinzione condivisa dallo stato maggiore grillino. E non a caso Mattia Fantinati lo legge così, il responso delle urle lucane: “Il risultato migliore, in Basilicata, è proprio quello dei protagonisti del contratto di governo, noi e la Lega, cioè dei movimenti anticasta che si oppongono ai vecchi partiti e alla vecchia politica, serva delle banche, del liberismo sfrenato e della globalizzazione selvaggia”, dice al Foglio il sottosegretario alla Pubblica amministrazione, molto vicino a Di Maio. “Per me, la Basilicata dimostra che è il patto di governo a reggere e ad avere la fiducia degli italiani. Noi siamo la prima lista, con oltre il 20 per cento, e la Lega è subito dietro. Fi è ormai un ectoplasma e il Pd, il cui governatore era finito agli arresti domiciliari, non ha neanche presentato le liste”, insiste Fantinati, che pare delineare, all'orizzonte, un nuovo bipolarismo fondato non sulla contrapposizione canonica tra destra e sinistra, ma sulla differenza tra l'establishment, vero o presunto, e il popolo, questa entità mistica che del resto lo stesso Giuseppe Conte definì come “la somma degli azionisti che sostengono questo governo”.
Ed ecco allora che quello che qualche mese fa veniva liquidato come un capriccio della fantasia, ora comincia a dare forma a suggestioni più concrete, che sembrano volere spingere lo stesso Di Maio verso una trasformazione dell'alleanza di governo in una piattaforma da riproporre anche su scala locale. E infatti, non fosse altro che per la paura di perdere la poltrona, ieri il vicepremier si è precipitato a Matera a festeggiare la non vittoria, e ha lanciato un messaggio inequivocabile a Salvini: “Se vogliamo davvero tagliare il numero dei parlamentari, con una riforma costituzionale che partirà dopo l'estate, dovremo necessariamente andare avanti” come governo. Della serie: Matteo, nun me lassà.
E Matteo, cioè Salvini, dal canto suo sembra tentato, pure lui, dall'azzardo. Lo si è capito, ieri, non tanto dalle rassicurazioni di rito fornite al suo alleato (“Se fossi in Di Maio non mi preoccuperei per la tenuta del governo”), quanto dalla frenesia che ha preso i colonnelli leghisti dopo la fine dello spoglio, con la certificazione dell'ennesimo smacco da parte del Carroccio ai danni di Fi, staccata di dieci punti. Per alcuni dei fedelissimi di Salvini, era il segnale atteso per tentare lo strappo in Piemonte: imporre un candidato proprio per le regionali del 26 maggio prossimo e rompere l'alleanza del centrodestra. “Non è da escludersi”, dicevano ieri i parlamentari del Carroccio, che del resto già nelle scorse settimane sono stati stimolati da quello stesso Dell'Orco che ieri, per primo, ha inneggiato alla Lucania gialloverde: “Perché non pensiamo ad allearci in Piemonte, dopo il voto?”, ha chiesto il sottosegretario ai suoi colleghi leghisti. Salvini non ha ancora deciso. Quello che è certo, è che il via libera al candidato del centrodestra – l'europarlamentare berlusconiano Alberto Cirio – non è ancora arrivato, da parte della Lega. Ed è certo pure che, nelle scorse ore, Salvini ha chiesto dei sondaggi che evidenziassero il peso della Lega, da sola, in Piemonte: 33 per cento, pare. E non è detto che non sia abbastanza per convincere anche i leghisti meno entusiasti per l'alleanza gialloverde.
Valerio Valentini
Il Foglio sportivo - in corpore sano