Uno scatto
C i sono immagini capaci di scatenare rivelazioni, così potenti da farti gelare il sangue nelle vene. Penso alla foto del prigioniero incappucciato ad Abu Ghraib, scattata dal sergente Ivan Frederick, eloquente non solo sull'operato dell'esercito americano ma sul potere stesso della fotografia. O alla gigantesca Amazon di Andreas Gursky (2017), immagine di un immenso deposito merci della multinazionale a Phoenix, in Arizona, che ha anticipato per i più attenti un problema sollevato in queste settimane sia dalla senatrice Elizabeth Warren sia dai sindacati che si stanno formando in India: se i grandi distributori cominciano a diventare essi stessi produttori delle merci che vendono, conquisteranno il monopolio assoluto.
E che dire dei singoli fotogrammi che ritraggono l'Iran, la terra della poesia, nei film di Abbas Kiarostami? A.S. Hamrah, autore di The Earth Dies Streaming, uno dei più illuminanti testi di critica cinematografica degli ultimi anni, è stato talmente colpito dalle immagini di Kiarostami che, appena ha saputo grazie a un tweet della morte del leggendario regista, è schizzato fuori dal cinema in cui si trovava, nel bel mezzo dell'ennesimo polpettone americano in Cgi. Il contrasto tra la forza sospesa dell'occhio di Kiarostami e l'estetica arrogante dei superhero movies ha spinto Hamrah a radicalizzare la sua battaglia contro il cinema capitalista hollywoodiano.
O l'immagine dell'attivista gay David Kirby, malato di Aids ritratto nel suo letto di morte, circondato dalla sua famiglia, il suo sguardo che fissa il vuoto. Quello scatto, realizzato nel 1990 dalla volontaria e fotografa Therese Frare, fu pubblicato su Life e vinse il World Press Photo. Allora non esisteva ancora una cura e vedere un padre e una madre che si stringevano attorno al figlio nelle sue ultime ore fu lo shock necessario per spostare l'attenzione dell'opinione pubblica su un tema così duro. Ancora oggi, secondo Time, è tra le cento fotografie più importanti della storia.
Ma torniamo all'Italia e al “governo del cambiamento”. Sui giornali e in televisione le opinioni si dividono: c'è chi cavalca l'onda populista e chi si straccia le vesti. L'intento di queste mie righe, però, non è quello di dirottare i lettori verso una precisa posizione politica. Il mio unico desiderio è renderli sensibili alla poesia.
Troppe volte capita che essa si manifesti davanti a occhi inesperti, col rischio di passare inosservata. Per esempio, non mi pare che qualcuno abbia fatto notare che anche noi italiani, il 22 marzo scorso, siamo stati testimoni di una scena di grande forza rivelatrice, un'immagine che al tempo stesso mi ha stordito e illuminato con violenza. Si è trattato del momento più gattopardesco del 2019 e, ne sono certo, non avrà rivali per tutto l'anno.
Il tutto è avvenuto in occasione dell'arrivo in Italia di Xi Jinping. Per celebrare la sua visita, al Quirinale si organizza la classica cena di gala alla presenza di politici e notabili di vario genere.
Nonostante il trionfo del populismo. Nonostante l'influenza di Putin. Nonostante Trump. Nonostante il dibattito pubblico, Salvini sì, Salvini no. Nonostante il rumore, il panico e gli smottamenti geopolitici, nonostante tutto questo, gli invitati arrivano al gala sfoggiando le loro mise più istituzionali. A un certo punto, in quella processione di volti più o meno noti, la poesia appare, ricordandoci il motto del nipote del principe di Salina: “Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi”.
Sui sampietrini avanza una sagoma sottile. I fotografi lo riconoscono e cominciano a scattare. Lui non ci fa caso, continua a parlare al telefono e raggiunge l'ingresso. In mano regge una sportina su cui campeggia il logo della Juventus, forse un regalo per il presidente Jinping.
La foto finisce sul Corriere della Sera, in pieno “governo del cambiamento”, in pasto a un pubblico incapace di coglierne la potenza. In quello scatto capace di innescare mille epifanie, davanti al Quirinale, c'è John Elkann.
Costantino della Gherardesca
Il Foglio sportivo - in corpore sano