FaTE PRESTO, FATE SESSO

Simonetta Sciandivasci

    Lasciate stare la recessione economica. Tecnica o meno che sia, indotta o accidentale, non deve preoccuparvi quanto quella sessuale, che potrebbe essere sistemica ed endemica come il crollo demografico, e che sull'economia potrebbe avere (ha già?) un impatto più devastante ancora, perché ci deprime e infelicita e se siamo depressi e infelici non consumiamo, non facciamo figli, andiamo in terapia a rimuovere la tristezza minima della perdita, lasciando però intatta quella massima della solitudine, che ha un solo rimedio: gli altri, e l'inferno che sono. In Giappone succede già da tempo, perché l'essere umano è eroso, periclitante, smarrito e intristito ovunque, e la felicità è diventata una chimera, come scrive Houellebecq, che però sbaglia a localizzare il problema in Occidente: sono infelici anche a est, si sono ritirati dal fare l'amore anche laggiù. Questo è la recessione sessuale: niente amore, niente sesso, niente relazioni. Non scopa più nessuno, quante volte lo avete detto all'ora dell'aperitivo? No, certo, voi no, voi non parlate così, però le vostre amiche sì, e loro a esser precisi hanno detto un mucchio di volte – e perdonerete la volgarità, ma all'ora dell'aperitivo parecchio pessimo vino fa dire parecchia pessima verità: “Non mi scopa più nessuno”. La femmina nuda soffre il maschio tisana, e lo sollecita, e lo implora, e quello niente, torna a casa e si nasconde sotto al letto. La femmina nuda reclama legittimamente il suo diritto a essere orribile, sgraziata, gelosa, carnale, volgare, infuocata, porca, padrona, libera, dominata e dominante, in omnia parata; il maschio tisana, altrettanto giustamente, vuole potersi ritirare, in ciabatte, a guardare un porno sul divano, e a dire “Ma sai che c'è? Tutta questa fatica per corteggiarti, sedurti, ammaliarti, portarti a casa e quindi a letto, ma chi me la fa fare? Preferisco Netflix. E chi me lo dice, poi, che se allungo troppo le mani non ti senti violata se non addirittura violentata? Insomma, oh, io sono una brava persona, ma che cosa vuoi da me? Vieni, dai, giochiamo a burraco”. Pover'uomo. E povere noi.

    Il maschio tisana lo ha teorizzato Antonio Pascale in un episodio del suo “Le aggravanti sentimentali”, dove una disgraziata trentacinquenne, una di noi, un po' millennial e un po' no, molto carina e simpatica, intraprendente e onesta, non solo non riesce a trovare un amore, ma neanche un'amicizia di letto, neanche un compagno di brindisi (gli uomini che si porta a casa, quando lei offre loro del vino, rispondono: perché, invece, non ci facciamo una tisana?).

    “Quando ho scritto quel libro, ho raccontato da una parte la stanchezza nel dover ripetere un rituale di seduzione ormai esautorato, che però non si ha il coraggio di abbandonare completamente e del quale, quindi, restano alcuni segnali. Mi colpiva molto questo: si instaurava un processo di seduzione che poi non si portava a termine. E questo valeva e vale soprattutto per la mia generazione”, dice al Foglio Antonio Pascale. E dall'altra parte? “I trentenni che si sono ritrovati dentro a una transizione, un cambio di passo, un abbattimento di regole che, per quanto assillanti, assegnavano ruoli precisi: il playboy, l'incantatore, il seduttore, l'alfa. La cultura meridionale ha dato indicazioni eccessive per i rapporti tra uomini e donne, per i maschi valeva la regola dei “devo”: devi fare così, altrimenti sei ricchione. Per quanto fosse schiacciante, almeno sapevi cosa dovevi fare: crollate queste regole, i trentenni si sono ritrovati a giocare la stessa partita di sempre senza sapere bene in quale veste. Questa incertezza ha creato un enorme imbarazzo”. Nell'ultimo disco di Luca Carboni, che come Pascale è nato negli anni Sessanta, c'è una canzone che fa così: “Io non voglio fare l'amore. Voglio un miracolo. Un cambiamento radicale”. Accidenti. Anche lui. Persino lui. Che 27 anni fa cantava così: “Ho bisogno di vederti. Di vederti e di toccarti. Ho già fretta di infilarmi nel tuo cuore. No, non hai capito, non ho detto di spogliarti. Io ci voglio entrare adesso anche se sei vestita”. Eravamo tutti più giovani, e troppo italiani, però cominciavamo a beneficiare della rivoluzione sessuale e dell'emancipazione del sesso dall'amore, e a nessuno sarebbe venuto mai in mente che proprio in quel momento la grande ritrazione cominciava. Sul numero di dicembre scorso dell'Atlantic dedicato alla “Sex Recession” è scritto chiaramente: i guai sono cominciati negli anni Novanta. Dal 1991 al 2017 la percentuale di adolescenti sessualmente attivi è calata dal 54 al 49 per cento: nel giro di un paio di generazioni, il sesso è passato dall'essere un'esperienza comune al non esserlo. Nel 2015, meno della metà dei liceali americani dichiarava di uscire con qualcuno. In Finlandia ci si è preoccupati per una epidemia di masturbazione. In Svezia (il paradiso delle culle, del welfare familiare, delle libertà individuali, dell'assenza di condizionamenti culturali bigotti) si sono decisi a condurre la prima ricerca sulle abitudini sessuali degli ultimi vent'anni: è venuta fuori persino lì una curva discendente, e il ministro della Salute ha subito scritto un op ed per dire che “Se le condizioni sociali per una buona vita sessuale sono deteriorate, è un problema politico”.

    Ma qual è il criterio per giudicare la bontà della vita sessuale? Il successo riproduttivo o la soddisfazione dei contraenti? (segue a pagina due)