Il Viminale stanca
Roma. C'è chi dirà che parla per esperienza, e chi obietterà che invece lo fa perché gufa. Sta di fatto che Roberto Maroni sulla questione taglia corto: “Sì, è vero, avevo consigliato a Matteo di non fare sia il ministro dell'Interno sia il segretario del partito. Ma trovo assolutamente strumentali e pretestuose le polemiche sulla sicurezza nelle piazze”. Non c'è una questione di incompatibilità, dunque? “No. Poi è ovvio che per fare bene entrambe le cose ci vuole un fisico bestiale. Le giornate di Salvini ormai durano 48 ore”. E alla lunga stanca? “Il rischio di logorarsi c'è, ovvio. Ma per ora mi pare che resista bene. Anche perché, se davvero la sinistra è convinta di combatterlo con le polemiche sugli striscioni e sul Salone del libro, nella logica del ‘tutti contro Salvini', allora Matteo non potrà che gioire e stare tranquillo ancora per molto tempo”.
C'è pure Luigi Di Maio, a dire il vero, a contestare Salvini sulla base di questi argomenti. Dice che la Lega deve smetterla coi fucili e coi carri armati, e che il vero moderato è proprio lui. “Lui, cioè Di Maio?”, chiede Maroni, con tono divertito. Lui, confermiamo. E qui scoppia, fragorosa, la sghignazzata. “Cioè, fatemi capire: Di Maio, quello dell'impeachment a Mattarella, quello che s'affaccia sul balcone di Palazzo Chigi per festeggiare lo sforamento del deficit, quello che andava in visita dai gilet gialli e voleva sospendere i finanziamenti italiani alla Ue, quel Di Maio sarebbe moderato? A me viene da ridere”.
L'estremismo di Salvini, il suo rimprovero nei confronti di un ufficiale di polizia a beneficio di telecamere, non rischiano di aumentare la tensione? “Queste critiche mi sembrano tutte figlie di reazioni isteriche, che durano il tempo di una giornata”. Ma quando Salvini sbotta contro un poliziotto per come è stato gestita la piazza che ospita il suo comizio, lo fa in qualità di segretario di partito o come ministro dell'Interno e dunque di capo della polizia? Questa ambiguità non è pericolosa? “Non ho visto l'episodio, ma mi sembrano anche queste contestazioni un po' pretestuose, buone al massimo per movimentare la campagna elettorale”.
E la vicinanza di Salvini all'estrema destra, invece, non finirà col danneggiare la Lega? “Direi che la sceneggiata sul suo libro si è risolta in un enorme spot per l'editore di riferimento di CasaPound. E questo la dice lunga sul valore di queste critiche. Semmai è un'altra la vicinanza dannosa”. Sarebbe? “Be', direi che se non si sbloccano le infrastrutture, se neppure qui al nord si aprono nuovi cantieri, lo si deve al veto posto dal M5s. Che fa più male di qualsiasi critica sul fascismo”.
Stesso discorso sull'autonomia, dunque? “Lì la questione è ancora più delicata, perché il testo dell'accordo va portato in Parlamento, dove i numeri parlano chiaro: lì i grillini hanno un grosso vantaggio, in termini di scranni occupati”. E però questo è il governo più autonomista della storia recente, a parole: la riforma è prevista perfino nel famigerato “contratto”. “Sì, ma se non ci sono le garanzie politiche necessarie, è inutile portare il disegno di legge nella palude delle Camere, ora”. Meglio aspettare il 27 di maggio, quindi? Rimandare tutto a dopo le europee? “Lì la situazione potrebbe migliorare, ma non è scontato che i grillini si convincano”.
E allora potrebbe saltare il governo? “Ne dubito. A mio avviso, dopo il voto del 26 maggio non cadrà l'esecutivo gialloverde come molti in Forza Italia sperano”. Lo sperano molti anche nella Lega, a dire il vero: lo stesso Giancarlo Giorgetti ha dichiarato ieri che “se il livello di litigiosità tra lega e M5s resta questo dopo il 26 maggio è evidente che non si potrebbe andare avanti”. E, sempre a detta di Giorgetti, nella crisi di governo ci spera anche lei per tornare in gioco. “Quello è tutto gossip giornalistico, non lo commento. Dico invece che dopo le elezioni europee non ci sarà nessuna crisi”. Servirà un rimpasto? “Ma no, sarebbe una manovra da Prima Repubblica. Ci sarà invece una revisione del contratto, dove si imporrà un'accelerazione sull'autonomia e un nuovo impulso alla crescita, con l'introduzione di una flat tax vera”.
Sconsiglia dunque a Salvini di far saltare il banco? “Dico che se anche dovesse cadere il governo, dubito che poi si andrebbe a votare, anche perché non ci sarebbero i tempi tecnici per farlo, con la nuova legge di Bilancio che incombe. Nascerebbe piuttosto un governo tecnico, e per i partiti del cambiamento sarebbe un'ammissione di fallimento. Semmai, il governo io lo avrei fatto cadere sul caso di Armando Siri. In quel caso Salvini ha sbagliato a cedere, dopo avere peraltro difeso per settimane il suo sottosegretario. Così la politica alza le mani davanti alla magistratura, e questa riempie i vuoti che la debolezza dei partiti crea. Lo dimostrano, mi pare, anche le recenti inchieste qui in Lombardia”.
Valerio Valentini
Il Foglio sportivo - in corpore sano