La promessa salviniana dello stato in Carige illude le piccole aziende

Alberto Brambilla

    Roma. Il vicepremier Matteo Salvini, intervistato dal Secolo XIX, ha promesso che la banca genovese Carige verrà in qualche modo aiutata con un intervento pubblico dopo che per mesi, in seguito al commissariamento della Banca centrale europea, non si è trovato un socio privato. “Se chiediamo il voto degli italiani per cambiare l'Europa è proprio per riprenderci il nostro sacrosanto diritto di proteggere la nostra economia reale di cui Carige rappresenta uno dei fondamentali bastioni. Quindi certamente come Lega siamo pronti a un intervento pubblico, qualora in tempi brevi non si dovessero affacciare nuovi, veri, affidabili capitali privati”. A pochi giorni dalle elezioni europee, il capo della Lega ha trovato un altro argomento per dire che l'Italia è vittima delle regole imposte da Bruxelles e intanto vendere qualche speranza ai piccoli imprenditori genovesi rimasti fedeli correntisti della banca. Carige sta viaggiando a vuoto da mesi e la settimana scorsa uno dei principali fondi mondiali di gestione di patrimoni, BlackRock, ha abbandonato le trattative con i commissari della banca e la Banca centrale europea. Salvini dice che servono investitori “veri”, come dire che BlackRock o altri istituti di rango non lo sono. Il vicepremier ha anzi aggiunto che “se non avessimo opposto la nostra più decisa resistenza l'atteggiamento di Bruxelles avrebbe rischiato di aprire la porta a fondi speculativi internazionali con tutti i rischi del caso”. Il problema è che l'atteggiamento di Salvini e del governo non sembra alla base dell'indisponibilità di BlackRock a partecipare a un aumento di capitale da oltre 700 milioni di euro: il fondo ha deciso in autonomia, dopo valutazione del comitato investimenti, di non procedere all'operazione. Non c'è stato nessun respingimento. Se ci fosse stato significherebbe che è proprio per il diniego dell'esecutivo che l'operazione di ricerca di un socio privato sta subendo un ulteriore ritardo. Dopo BlackRock, la Banca centrale europea ha infatti posticipato la scadenza per la presentazione di offerte oltre il 17 maggio senza un limite definito che, però, non sarà eterno. Secondo indiscrezioni raccolte mercoledì da Reuters, la Banca centrale europea non ha intenzione di attendere mesi e, inoltre, la crisi di Banca Carige dovrà passare per una procedura di liquidazione se l'istituto non troverà un acquirente, contrariamente dai piani governativi di porla sotto il controllo pubblico. Concepire una sistemazione di Carige al di fuori di una aggregazione con un gruppo bancario è molto aleatorio e lo è altrettanto non immaginare un apporto di capitale esterno da parte di un fondo. Il modello usato per il Monte dei Paschi con una ricapitalizzazione da parte dello stato non si adatta alla banca genovese. La ricapitalizzazione di Mps è stata ritenuta necessaria per creare una entità autonoma in modo da potere eventualmente essere ceduta in futuro. Per procedere a un intervento pubblico, con ricapitalizzazione precauzionale, Carige dovrebbe essere una banca sistemica, ma non è “troppo grande per fallire”, e dovrebbe prima garantire che i soldi pubblici non vadano a coprire perdite pregresse, e questo non è assicurato al momento. Carige ha tuttavia una particolarità che la rende delicata da maneggiare per la politica. E' la banca alla quale sono legati piccoli commercianti e piccoli imprenditori liguri e genovesi: ha come clienti circa 63.500 imprese in Liguria, di cui 2.500 società di media dimensione, 15 mila piccole imprese e 46 mila piccoli operatori economici. Salvini sta assicurando loro un intervento dello stato che, in realtà, è fuori dalla sua portata, in quanto escluso come eventualità dalla Bce. La Vigilanza di Francoforte ritiene un tentativo di aggregazione l'opzione preferibile, dopodiché c'è la liquidazione con cessione a privati. Offrire la prospettiva di un ruolo preminente dello stato può essere rassicurante per i correntisti genovesi. Ma una promessa che non si può mantenere è un'illusione.

    Alberto Brambilla

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.