Lo storico Overy ci spiega perché non ci sarà una nuova alleanza tra Londra e Washington
Roma. Il 75esimo anniversario dello sbarco in Normandia ha segnato uno spartiacque nella politica britannica, dove c'è un clima da fine d'epoca. La premier Theresa May oggi si dimetterà dalla guida dei Tory dopo aver celebrato il D-day a Bayeux nel nord della Francia assieme agli altri capi di stato, e rimarrà in carica come primo ministro fino a quando non verrà scelto il suo successore. L'ombra della Brexit ha marchiato la visita di Donald Trump a Londra negli ultimi giorni. I brexiteers hanno accolto il presidente americano come un imperatore, lo hanno omaggiato e hanno promesso di rigenerare la special relationship tra Stati Uniti e Gran Bretagna, che ha raggiunto il suo apice proprio il 6 giugno di 75 anni fa. “Ma è una fantasia – spiega Richard Overy, uno dei massimi storici britannici e grande esperto della Seconda guerra mondiale – I rapporti di forza oggi sono squilibrati a favore dell'America. La sicurezza britannica dipende dalla Nato, e la nostra economia interessa poco agli Stati Uniti, che non potranno sostituire l'Europa come nostro partner commerciale di riferimento. La special relationship è sempre stata un'esagerazione storica anche ai tempi di Blair e Bush, figurarsi oggi con Donald Trump. Una prospettiva più attraente per i brexiteers sarebbe quella di ricreare il Commonwealth, peccato che il Canada e l'Australia nel frattempo hanno firmato accordi commerciali con altri paesi. Perché dovrebbero ristabilire dei legami che si sono rotti cinquant'anni fa?”. Quindi il risultato della Brexit sarà una Gran Bretagna più isolata e più debole? “Certo – afferma Overy – non avremmo né le risorse né il potere per essere un partner attraente, e quindi dovremmo elemosinare delle concessioni sia in campo economico sia sui temi della sicurezza. L'idea ‘Britain alone' (la Gran Bretagna da sola) che piace tanto ai brexiteers è un ricordo sbiadito del 1940, quando il Regno Unito era una potenza mondiale. Ma oggi non ha alcun senso strategico, economico o politico”.
La narrazione dei brexiteers è piena di riferimenti storici per legittimare la loro visione. Dunkirk viene raccontato come il simbolo della resistenza solitaria, la battaglia d'Inghilterra come la riscossa nazionale. Emmanuel Macron ha detto che “non bisogna tradire lo spirito del D-day”, alludendo all'isolazionismo di Trump e degli euroscettici inglesi. Lo sbarco in Normandia fornisce una lezione di segno opposto rispetto a quanto predicano i brexiteers? “Il D-day è un simbolo di un'era in cui l'Inghilterra aveva un ruolo più attivo in Europa: si è impegnata a liberare il continente e a ristabilire la democrazia. Ma i brexiteers hanno manipolato la storia per dimostrare che la Gran Bretagna ha delle caratteristiche uniche che la rendono poco adatta a fare parte dell'Unione europea, che lo spirito di Churchill ci garantisce un posto speciale nel mondo e così via – queste ovviamente sono tutte sciocchezze. Quello che più mi preoccupa è che l'ossessione con l'unicità della Gran Bretagna possa incoraggiare una forma di xenofobia che ricorda molto le frontiere chiuse e il nazionalismo degli anni Trenta”. Anche l'opposizione laburista guidata da Jeremy Corbyn non ha un'idea chiara sulle alleanze dopo la Brexit: vuole uscire dall'Unione europea, ma si rifiuta di intrattenere rapporti con l'America. E' una posizione credibile da parte di un aspirante primo ministro? “Corbyn è stato di poco aiuto a coloro che volevano restare nell'Unione europea. Molti socialisti radicali sono ancora convinti che la Brexit possa rendere possibile una specie di rivoluzione anti-capitalista. In realtà sta succedendo il contrario: la Gran Bretagna si sta spostando sempre più a destra, anche verso l'estrema destra. L'uscita dall'Ue rischia di penalizzare molti elettori della working class che andranno incontro a una crisi economica e a una crescente disoccupazione. Corbyn ha fatto bene a protestare contro Trump, ma la sua proposta di dialogo con il presidente americano sulle prospettive della pace globale mostra che è ancora distante dalla realtà politica”.
Gregorio Sorgi
Il Foglio sportivo - in corpore sano