Non solo dazi. Per battere la Cina la siderurgia dev'essere zen

Alberto Brambilla

    Roma. La grande siderurgia europea è di nuovo in crisi e ha segnalato la prospettiva di un calo della produzione e relativi tagli di posti di lavoro. La lobby Eurofer ha chiesto alla Commissione europea di prendere misure di contrasto alla invasione di acciaio cinese e da paesi extra-europei che hanno inondato il mercato continentale in seguito all'imposizione di dazi da parte degli Stati Uniti verso i produttori asiatici.

    “C'è stato un cambiamento improvviso e particolarmente negativo delle prospettive dell'industria siderurgica europea. Le conseguenze, gravi, sono ora visibili. Sono stati annunciati tagli alla produzione e chiusure degli impianti. Migliaia di posti di lavoro sono a rischio”, è l'appello della lobby siderurgica Eurofer alla Commissione europea in una lettera del 3 giugno.

    La grande industria siderurgica europea è di nuovo in crisi dopo anni di recupero. Il principale produttore continentale ArcelorMittal ha ridotto la produzione anche allo stabilimento di Taranto, appena rilevato, procedendo alla richiesta di cassa integrazione per 1.400 su circa 10 mila dipendenti. La fusione tra la tedesca Thyssenkrupp e l'indiana Tata è fallita per l'opposizione della Commissione europea. Nel Regno Unito il terzo produttore nazionale, la British Steel, ha dichiarato bancarotta. Il rallentamento del ciclo economico mondiale e l'imposizione di dazi da parte degli Stati Uniti verso la Cina ha comportato l'afflusso di prodotti cinesi a basso costo verso l'Europa che non si è protetta dalla concorrenza asiatica.

    Su una produzione mondiale di 1 miliardo e 700 milioni di tonnellate l'anno, 168 milioni sono prodotte in Europa mentre 850 sono prodotte in Cina (il 50 per cento della produzione mondiale). Gli Stati Uniti producono solo 75-80 milioni di tonnellate l'anno.

    “Ci sono dei fattori esogeni che hanno impattato in maniera significativa l'operatività delle aziende siderurgiche europee”, dice Massimiliano Burelli, amministratore delegato della Acciai Speciali Terni (Ast). “Il rilascio di politiche di dazi del 25 per cento sull'acciaio da parte degli Stati Uniti hanno fatto sì che in buona parte venisse dirottato in Europa”, dice Burelli. “L'Europa ha cercato di difendersi con misure di salvaguardia transitorie rilasciate a luglio, ma non stanno dando il beneficio protezionistico che ci si aspettava”.

    Burelli non vede molte alternative rispetto all'imposizione di dazi uguali a quelli americani per contenere i produttori asiatici, spesso di proprietà dello stato o sussidiati, che producono senza rispettare i vincoli ambientali, o che, come l'Indonesia, hanno bacini minerari dai quali attingere per avere materie prime a basso costo.

    “Una serie di elementi fanno pensare che per una acciaieria europea sia impossibile battere i produttori asiatici – dice Burelli – O si penalizzano i produttori di quell'area oppure si agisce all'interno delle aziende migliorando i servizi”.

    Dal 2016 le linee produttive dell'Ast –tubificio di Terni e del centro di finitura e la Terninox di Milano – sono organizzate e gestite secondo la “Lean transformation”, la riorganizzazione sistematica dei processi e della forza lavoro – la produzione snella con fornitura “just in time” – con cui l'ingegnere Taiichi ŌOhno riuscì a difendere la sua Toyota dall'invasione di automobili di produzione straniera sul mercato giapponese nel secondo dopoguerra. La filosofia Kaizen, cambiamento (kai) e miglioramento (zen), è un atteggiamento individuale che portato in azienda aggredire gli sprechi lungo tutta la catena di produzione, creare gruppi di lavoro specializzati, più controllo di qualità, quantità e il costo di vendita. “A differenza degli asiatici la nostra produzione non è competitiva sul prezzo ma sul servizio: il materiale che arriva da Terni ha zero reclami, i produttori cinesi ne hanno almeno tre. Questo vuol dire che abbassiamo i costi di gestione e diamo ai clienti qualcosa che non possono avere dall'Asia. Una serie di atout che prima non erano necessari ma che oggi sono sostanziali”, conclude Burelli.

    Alberto Brambilla

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.