Il modo migliore per essere agganciati da una spia? Provare LinkedIn

Eugenio Cau

    Milano. Non è difficile capire tempo chi sono gli utenti medi di LinkedIn: imprenditori rampanti, dipendenti delle agenzie di consulenza, comunicatori professionali, giovani con molti master e poche offerte di lavoro. LinkedIn è il social network degli anglicismi aziendali, dei link ai siti di autoaiuto su come migliorare le proprie leadership skills, e il 5 per cento di tutti i post sono ancora rimandi al discorso “Stay hungry stay foolish” di Steve Jobs. LinkedIn è anche pieno di spie.

    Un'inchiesta dell'Associated Press di ieri raccontava l'esempio perfetto di Katie Jones, affascinante ricercatrice che si occupa di Russia ed Eurasia al Center for Strategic and International Studies, uno dei più importanti think tank di Washington. Katie ha i capelli color rame e gli occhi tra l'azzurro e il verde, e tra i suoi contatti ci sono un senatore americano, un economista che potrebbe presto entrare alla Fed, un ex consigliere della Casa Bianca: tutti sono stati contattati su LinkedIn da Katie e hanno accettato la sua amicizia. Come non farlo, con quel curriculum, quelle connessioni e quella foto profilo conturbante? LinkedIn funziona così, è l'unico social network (assieme a Tinder) in cui le connessioni tra completi estranei sono incoraggiate – ed è normale, visto che l'intento primario è trovare lavoro.

    Ma Katie non esiste. Il think tank per cui lavora non ha mai sentito parlare di lei, così come l'università in cui dice di essersi laureata. Non solo, se si guarda da vicino la sua foto profilo, alcuni dettagli dimostrano che è un fake, è una fotografia generata da un'intelligenza artificiale, piena di strane, microscopiche imperfezioni che non possono esistere nella vita reale. Secondo gli esperti sentiti da Ap, quello di Katie Jones è un profilo civetta creato da qualche agenzia di intelligence in giro per il mondo per reclutare agenti o per carpire informazioni. LinkedIn è pieno di profili del genere. Proprio per il suo orientamento business, e per il fatto che è normale entrare in contatto con sconosciuti che fanno offerte di lavoro, propongono opportunità di investimento, presentano i propri progetti, LinkedIn è diventato il posto perfetto in cui le agenzie d'intelligence possono cercare fonti – senza i rischi del lavoro sul campo. Kevin Mallory, ex agente della Cia, nel 2017 fu contattato da un collega di Katie Jones che si era presentato come membro di un importante think tank cinese e che alla fine lo aveva convinto a passargli dei documenti segreti dell'intelligence americana in cambio di 25 mila dollari. Il thinktanker in realtà era un membro dei servizi segreti del Partito comunista cinese, Mallory è stato beccato un anno fa e lo scorso mese ha ricevuto una condanna a 20 anni di prigione.

    Moltissimi think tanker e membri dell'ambiente dell'intelligence in occidente hanno storie simili, tanto che è da anni ormai che le agenzie d'intelligence di tutti i paesi chiedono di fare attenzione quando si usa LinkedIn: è pieno di spie cinesi e russe, soprattutto. L'MI5 britannico lanciava allarmi già nel 2015, il BfV tedesco diceva di stare in guardia nel 2017, i francesi hanno fatto lo stesso l'anno scorso.

    Le trappole hanno caratteristiche simili. Quasi sempre si tratta di un “consulente economico” di qualche agenzia prestigiosa o un “fellow” di un importante think tank, spesso cinese e spesso donna con fotografie che danno nell'occhio. Questi profili finti sono già in contatto con personaggi prestigiosi, e questo è uno dei punti di forza della loro credibilità: su LinkedIn si tende a dare l'amicizia un po' a tutti, senza pensarci troppo, ed è facile per un profilo-spia usare i propri contatti come endorsement espliciti. Jonas Parello-Plesner dello Hudson Institute ha raccontato sull'American Interest che a lui successe nel 2012: una bella donna cinese lo contattò con una proposta di collaborazione lavorativa, gli diede appuntamento in un hotel ma al suo posto si presentarono tre uomini che proposero a Parello-Plesner un altro tipo di collaborazione.

    Eugenio Cau

    • Eugenio Cau
    • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.