L'ex segretario dei Ds ci spiega perché il Pd non può tornare ai Ds

David Allegranti

    Roma. “Partiamo dalla condizione di estrema precarietà e di sofferenza che vive l'Italia: la produzione industriale è ferma, la crescita è a zero, c'è il blocco degli investimenti e c'è una generale condizione di recessione e stagnazione”, dice Piero Fassino al Foglio. “Deficit e debito continuano ad aumentare, la politica del governo è di spesa, non di investimenti. L'Italia è isolata a livello internazionale. A Bruxelles, dove stanno disegnando gli assetti europei dei prossimi anni, il nostro paese non è coinvolto, né lo sarà. Il governo e la sua maggioranza sono il principale fattore di blocco per questo paese”. E il PD, dice Fassino, “è l'unico argine a questa deriva. Ce lo ha detto il voto europeo e amministrativo. Abbiamo recuperato voti rispetto alle elezioni politiche e nei comuni oltre i 15 mila abitanti il sfiora il 30 per cento, merito anche di una classe dirigente amministrativa  credibile”. Insomma, “il voto ha dato un'apertura di credito al Pd e al suo gruppo dirigente. Adesso però non compromettiamo questa apertura con lacerazioni, polemiche astiose. Non caschiamo nell'autoreferenzialità. L'unità del partito è essenziale. Non sono a conoscenza di quale interlocuzione ci sia stata fra Zingaretti e le minoranze sulla formazione della Segreteria. In ogni caso se non ci si è capiti e si è prodotto un cortocircuito, ci si metta attorno a un tavolo e si discuta su come trovare una conduzione unitaria in cui tutti possano riconoscersi”. Però, Fassino, nel Pd c'è un discreto caos. Prendiamo Carlo Calenda… “Calenda tutti lo stimiamo, ma bisogna che si abitui a stare in un partito, dove non si può sparare su tutto e su tutti Calenda è stato indicato come capolista, è stato sostenuto dal partito in ogni modo, ha riscosso un successo personale prezioso per lui e per il Pd. Ma non può dichiarare di essersi vergognato di aver fatto votare il Pd. E' una questione di buon senso”. C'è chi dice che questo Pd con Zingaretti è diventato una succursale dei Ds Condivide? “No e francamente non capisco questa polemica. C'è stato un momento nel quale le principali funzioni del Pd e del governo erano esercitate da esponenti con una storia diversa rispetto a quella dei Ds.  Renzi primo ministro e segretario del partito, Graziano Delrio sottosegretario alla presidenza del consiglio, Paolo Gentiloni ministro degli Esteri, Ettore Rosato capogruppo alla Camera, Maria Elena Boschi alle riforme istituzionali, Roberto Giachetti vicepresidente della Camera. E potrei continuare. Tutti Margherita o comunque non ex Ds. Eppure né io né altri dirigenti ex Ds abbiamo mai detto che il Pd di Renzi stava rifacendo la Margherita. Non abbiamo mai alimentato questo sospetto. Abbiamo fondato il Pd 12 anni fa, durante i quali ci siamo impegnati ad andare oltre le nostre identità di origine. Ognuno di noi è orgoglioso della propria storia, ma è alle nostre spalle. Invece c'è chi evoca il sospetto che si voglia tornare a una cosa che non c'è più. Chiudiamola qui questa polemica”. Peraltro, aggiunge Fassino, “si parla dei Ds senza sapere che cosa erano. Se vogliamo dirla tutta senza Fassino segretario dei Ds e senza la sua determinazione, il Pd non sarebbe nato, è chiaro? Quindi figuriamoci se io, avendo fatto il Pd, voglio tornare indietro. Da segretario, contro quella decisione, ho persino subito una scissione”. Il Pd certo, assicura Fassino, deve rinnovarsi, “anche oltre la storia di questi 12 anni. Serve un Pd che faccia i conti con l'oggi. Con grande coraggio, innovativo, culturale, ideale e programmatico. Non dobbiamo tornare indietro”. Ma quindi  lei dice che bisogna andare oltre il Pd? “Serve  una coalizione, la più larga possibile, democratica e progressista, di cui il Pd sia il perno principale, ma che non si esaurisca nel solo Pd. Dobbiamo muoverci in ogni direzione promuovendo e favorendo tutto ciò che allarga il campo, mobilità nuove energie e nuove forze. Ma niente operazioni a tavolino, tutto va costruito in un rapporto concreto e vero con la società e i suoi mille mondi”.

    David Allegranti

    • David Allegranti
    • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.