Inchiesta sulla nuova tv

Simonetta Sciandivasci

    Il problema non è più quanto o come ci aliena il social media, ma cosa ci spinge a diventare e cosa ci esorta a distruggere per farlo. Non che YouTube trami per sovvertire l'occidente, instaurare dittature, soffocare le minoranze. Anzi. Le regole della piattaforma sono chiare: vietano l'incitamento all'odio, le molestie, tentano di ostacolare il cyberbullismo e, non molti giorni fa, la società ha annunciato non solo un aggiornamento di policy che servirà a vietare video che propagandano il neonazismo, il suprematismo bianco, l'omofobia, la trasnfobia, ma pure una serie di correzioni all'algoritmo che serviranno a ridurre la diffusione di teorie cospirazioniste e notizie false. Da agosto, la visualizzazione del numero degli iscritti a un canale verrà mostrata nel formato abbreviato: potrebbe essere un modo per disincentivare i creator a cercare iscritti forsennatamente, cosa che nella maggior parte dei casi si fa proponendo contenuti sempre più bizzarri, estremi, violenti, insensati. Dal nuovo layout attualmente in via di sperimentazione, probabilmente spariranno anche i commenti (meglio: bisognerà cliccare per leggerli). In ciascuno di questi provvedimenti si legge l'incapacità della piattaforma di andare al cuore del problema e distruggerlo, perché quel problema è la fonte primaria di sostentamento di tutto l'organismo.

    Susan Wojcicki, ceo di YT, ha sempre lavorato a Google (che ha comprato YT nel 2006), è finita più di una volta nella classifica di Forbes delle 100 donne più potenti del mondo, ha origini russo-polacche, una famiglia di cervelloni filantropi, ha sostenuto Hillary Clinton alle presidenziali del 2016, e figuriamoci se si sarebbe mai messa alla testa di una fabbrica di mostri. I colossi della Silicon Valley tengono parecchio alla rispettabilità, sanno quanto conta schierarsi dalla parte giusta, ma faticano a rendersi conto che non è più sufficiente. Bellingcat, un sito di inchieste, ha scoperto che nelle chat room di estrema destra YT è una delle fonti principali di “conversione” di chi ne fa parte. Il New York Times ha raccontato di recente la storia di Caleb Cain, un liberale attento alle diseguaglianze sociali che si è imbattuto per caso nei canali di molti creator di destra, attivisti suprematisti o semplici intrattenitori, che su Facebook e Instagram trovano pubblico, ma su YouTube hanno anche occasione di monetizzare, e parecchio, i propri contenuti, e ci si è lasciato trascinare. Ha detto: “Mi sentivo come se stessi scoprendo verità scomode e che questo accresceva il mio potere e la mia autorità”. Quel cambio di algoritmo che sembrava una rivoluzione positiva e che qualche anno fa, a Steve Chen, uno dei fondatori, fece dire “Possiamo guidare i nostri utenti verso qualcosa di diverso, uno status nuovo, e fare così qualcosa di molto di più che raccomandare contenuti a loro familiari”, è diventato in poco tempo il più grande alleato dei nemici della piattaforma.

    A YT è sfuggito l'algoritmo di mano, e non c'è né modo di riacciuffarlo né voglia, visto che garantisce il 70 per cento delle entrate della piattaforma. Si capisce allora come mai le accuse, sempre più pesanti, che le associazioni di consumatori, i cittadini, i ricercatori, gli ex dipendenti, i grandi giornali rivolgono al colosso, non ottengono risposte sufficienti, oltre a provvedimenti censori, filtri momentanei, aggiustamenti di facciata. A metà giugno, quando la piattaforma ha cancellato il canale del partito sovranista spagnolo Vox, ritenendolo responsabile di veicolare teorie negazioniste e odio razziale, Il Primato Nazionale, la rivista di Casa Pound, ha scritto: “YouTube sta cercando di silenziare ogni afflato di dissenso dalla narrazione sorosiano/mondialista”. Un ex dipendente di YouTube ha detto a Vox (il giornale americano) che “Google e YouTube non vogliono davvero intraprendere alcuna azione definitiva contro i canali di estrema destra per evitare che gli estremisti passino per dei perseguitati”.

    Uscirne è impossibile?

    Ci sono altri guai.

    La Federal Trade Commission americana sta indagando sull'uso che YT fa dei video dei bambini, dopo che molte associazioni di consumatori e per la tutela della privacy hanno fatto presente che la piattaforma viola il Children's online Privacy Protection Act, che disciplina la raccolta di dati dei bambini al di sotto dei 13 anni: è stato provato che YT ha raccolto informazioni (geolocalizzazione, identificativi unici dei dispositivi, numeri di telefono mobile) per orientare meglio l'offerta, renderla a prova di bambino. L'azienda sa che buona parte del suo pubblico non è adulta ed è per questo che, anche se ne parla, non sposterà mai tutti i contenuti per i piccoli nel canale a loro dedicato, YouTube Kids: la piattaforma perderebbe il proprio asse portante.

    “Proteggere i bambini è in testa alla nostra lista”, ha detto Jennifer O' Connor, che a YouTube si occupa di sicurezza. I ricercatori, intanto, continuano a dimostrare che l'algoritmo di YouTube è un alleato involontario della pedofilia: spesso video innocenti e che hanno dei bambini per protagonisti (per esempio il video di una festa in piscina) in pochi passaggi rimandano a contenuti più espliciti, persino pornografici. Non conta quanto un bambino sia coperto o poco visibile in un video: è la progressione dei video che lo seguono a sessualizzarlo. Il meccanismo è il medesimo: si va sempre più a fondo, si viene serviti con qualcosa di sempre più hard core.

    Marcus Rogers, psicologo della Purdue University, ha detto che mostrando video di bambini che giocano e, subito dopo, altri che hanno un contenuto sessuale esplicito, c'è il rischio che la pedopornografia venga normalizzata, accettata come una delle tanti parti della sessualità. A febbraio scorso, Wired e molti giornali hanno scritto che nei commenti ai video di YouTube si nascondevano pedofili che si scambiavano informazioni su video di bambini. La società ha bandito i commenti dai video dei minori.

    Nessun social media più e meglio del Tubo è stato ed è capace di infilarsi nel contrasto tra espressione e comunicazione, rendendolo una sfida senza vincitori o vinti – su Facebook o Instagram o Tik Tok è già più chiara la polarizzazione verso l'espressione, a scapito della comunicazione. Se sarà la televisione del futuro, o la sua morte (e forse le due cose sono imprescindibili) non conta quanto quello che finora ha creato: la dimostrazione che la produzione di contenuti è in grado di creare una nuova logica di mercato, o non crearne affatto, o ricrearne di continuo, e questa si chiama rivoluzione. Ci sarà una ragione, e dovrà essere buona, se i libri degli youtuber finiscono in classifica. E li leggono i ragazzi, e forse dovremmo anche noi. Non sono mica tutti incel estremisti pazzi negazionisti. Ma visto che anche quelli ci sono, Google e YouTube devono trovare la forza di rinunciare a qualche punto percentuale di mercato, e transennare la tana del coniglio.

    Simonetta Sciandivasci