
La serie giapponese con i robot che ha cambiato la storia
Netflix ha pubblicato sulla sua piattaforma di streaming “Neon Genesis Evangelion”, un cartone animato giapponese (anime) degli anni Novanta con i robottoni. Detta così, non ti sale esattamente l'eccitazione. Con quel titolo, poi. In realtà “Neon Genesis Evangelion” (da adesso in poi NGE) è uno dei prodotti culturali più importanti usciti dal Giappone negli ultimi decenni, i cui meriti – per il mondo dell'animazione e per la cultura pop – sono difficili da sottovalutare. NGE è stato ideato e diretto da un regista colto e di enorme talento, Hideaki Anno, che durante la lavorazione della serie stava affrontando una forte crisi depressiva. Anno prende il genere di Mazinga e lo trasforma in un'epica introspettiva in cui sono mischiati psicologia, cabalismo e Arthur Schopenhauer, e in cui il racconto di un gruppo di ragazzi che guida robottoni per salvare la Terra dai cattivi è poco più che una scusa spettacolare per raccontare i tumulti interiori dei personaggi e i loro tentativi disperati di superare il male di vivere.
Il protagonista della storia, Shinji, è disegnato sul prototipico ragazzino di tutte le serie animate giapponesi di questo genere: il suo passato è confuso, la sua vita è infelice, ma un curioso rivolgimento del fato gli fa scoprire di essere il prescelto per diventare pilota di robot, salvare il genere umano e trasformarsi in eroe. In NGE è tutto diverso. Shinji è il prescelto, ma non vuole esserlo. Non vuole fare il pilota, non vuole salvare l'umanità, vorrebbe starsene sdraiato sul letto a guardare il soffitto e ascoltare sempre lo stesso brano sul walkman (sì, il walkman). Se diventerà un eroe, lo diventerà contro la sua volontà. (Nota: il nuovo adattamento in italiano di NGE fatto da Netflix era così brutto che l'azienda ha promesso di rifarlo a breve).


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