Lo skateboard a prova di skater (e a prova di Roma)

Alberto Brambilla

    Probabilmente anche gli skater più tradizionalisti saranno portati a modificare le loro convinzioni cementate in anni di corse, sudore e sangue sulla tavola a rotelle, una volta provata l'evoluzione elettrica del mezzo nato in California oramai sessanta anni fa.

    Gli appassionati dello skateboard sono integralisti mica male. Non conoscono alternative alla tavola costruita con sette strati di acero canadese, quattro ruote in poliuretano e i truck in lega di alluminio. Ovvero lo skate moderno, venduto su scala industriale, e soprattutto – da quando esiste – concepito per muoversi a propulsione squisitamente umana. Tutti gli altri aggeggi per girare in strada (o per praticare sport “estremi”) sono malvisti a dir poco: i monopattini sono roba da bambini, i rollerblade sono per chi in skate non ci sa andare, la bicicletta bmx va bene per raggiungere lo skatepark, altrimenti è meglio lasciarla in garage. Insomma per uno skater non c'è altro skate al di fuori dello skate. O almeno chi scrive è uno di quelli che la pensa(va) così da quasi vent'anni.

    Con questa prospettiva l'approccio a un longboard (una tavola lunga) a propulsione elettrica governato con un telecomando per gestire la velocità come Linky è stato diffidente. Una volta estratto Linky dal suo zaino sorgono infatti alcune perplessità nella testa dello skater integralista: una tavola pieghevole? Un motore? E soprattutto: perché mai dovrei avanzare spingendo col pollice un pulsante di un telecomando bluetooth, simile a un joystick, che sta in un pugno? E le gambe? Cosa me ne faccio delle gambe? Uno skate elettrico pareva insomma la cosa più innaturale che potesse esistere agli occhi di uno skater (senza contare che lo skate è forse, di per sé, uno degli sport più innaturali esistenti, se non altro perché si avanza di lato e non frontalmente come invece si fa quando si cammina). Linky nasce nel 2016 dall'idea di Paolo Pipponzi, Fabio De Minicis, Cristiano Nardi e Giovanni Laserra, tre ingegneri e un economista, amici d'infanzia, che hanno fondato la startup Linky Innovation a Falerone (Fermo, Marche), ed è venduto in tutto il mondo.

    La struttura di Linky è fatta in polimeri usati nell'industria automobilistica. La tavola è in fibra di carbonio e bambù per contenerne il peso il più possibile, il che è utile per dare una grande mobilità in curva e per navigare su superfici proibitive in modo da contenere le vibrazioni. Il motore elettrico alimentato da una batteria al litio è un buon compromesso per leggerezza e potenza: da fermo Linky può sembrare pesante (5,5 kg), ma una volta avviato, il motore non è più un problema. Riesce ad affrontare salite con pendenza fino al 12 per cento.

    Ed è in salita che è cominciata la prima cavalcata una volta uscito dalla redazione del Foglio, in Piazza Barberini, centro di Roma, dove tutta la strada è un buco. Per chi non fosse pratico dell'orografia della capitale, la salita che va da Piazza Barberini a Repubblica è ripida e lastricata di sampietrini. In partenza la trazione del motore è forte, destabilizza un po', ma è solo questione di abitudine, bisogna imparare a dosare la pressione del pollice per provare una partenza più dolce. Per testare Linky nel modo peggiore possibile ho deciso di non mancare nemmeno una buca. Ne ho centrate una decina, il motore ha ovviamente avuto qualche sussulto ma ha resistito molto bene agli urti perché le grandi ruote (83 mm di diametro) assorbono le asperità del terreno, anche con buche che vanno dal centimetro al mezzo metro. Superata la salita, una volta in zona stazione Termini, dosare la velocità con la levetta sul telecomando era già un'abilità acquisita: essenziale per fare lo slalom tra i frequenti taxi, con tassinari un po' incuriositi e un po' incazzati, e le agili Smart con fighetti a bordo in fregola da aperitivo. Insomma c'erano voragini varie e un bel traffico di gente con una grande voglia di bere e con poca voglia di avere aggeggi ronzanti tra le ruote. Linky se l'è cavata alla grande. E le convinzioni da skater radicale sono scemate in fretta. A quel punto, semmai, il problema era che la mia tavola non andava abbastanza veloce. Serviva più potenza per cavarsela tra gli incroci e per volare sulle buche e sulle rotaie dei tram da attraversare. Il telecomando risolve il problema, sta tutto lì, nel cervello di Linky con le sue lucine segnaletiche: ci sono quattro differenti velocità da gestire, da quella per risparmiare batteria a quella per avere una sostenuta velocità di crociera; si attivano con clic progressivi di un pulsante in testa al joystick. Innescata la velocità più adrenalinica, fino a 30 km all'ora, e imboccata qualche via in pianura, le perplessità iniziali sono scomparse: anche gli incroci più trafficati potevano essere superati in un attimo mentre le rotaie dei tram erano diventate solo un piccolo intralcio sul quale saltellare. Le gambe, poi, servivano ancora, eccome: per impostare curve larghe e morbide come si fa con i longboard o come, per intenderci, si può fare con lo snowboard sulla neve. Ma la parte migliore arriva in discesa: fermi all'apice di una collinetta, in fondo scatta il semaforo verde, avanti col pollice, incrocio bruciato, roba che manco a San Francisco. L'imprevisto di un pedone che attraversa incauto non è un guaio: leva tutta indietro e la frenata è precisa (sì, si può frenare); il pedone è salvo e lo skater è sicuro. Linky si muove bene anche sul brecciolino dei parchi e in notturna (un altro pulsante accende la luce davanti), ed è anche dog friendly (testato con un lagotto romagnolo che si è lanciato all'inseguimento col sorriso stampato sul muso).

    Bisogna ammettere che dopo il primo approccio l'entusiasmo ha superato i dubbi e lo skate elettrico è un mai-più-senza per muoversi rapidi in città. In fondo lo skateboard, da quando è nato, si è evoluto grazie alle idee dei migliori professionisti che hanno inventato nuove manovre. La tavola a rotelle è un concentrato di innovazione, da sempre. Linky è un'evoluzione molto comoda.

    Alberto Brambilla

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.