VECCHIE NOIOSE

Simonetta Sciandivasci

    L a prima volta che mia nonna ha detto che sarebbe morta (di lì a poco, entro sera al massimo) era il 1968. Aveva 33 anni e stava benissimo, poco meglio di adesso, che di anni ne ha 86 e mangia pochi carboidrati, moltissimi cannoli e caramelle al caffè.

    A Natale scorso ha pianto mentre io, mia madre e mia zia contavamo le volte che è finita in ospedale a operarsi, otto – lei protestava e diceva, di più, sono di più. Si sentiva presa in giro, e aveva ragione. Sbagliavamo noi, e abbiamo sempre sbagliato, perché la vita è attesa e l'attesa, ha scritto Nicola Pugliese in “Malacqua”, è sempre attesa della morte. Facciamo di tutto per dimenticarlo, cominciamo ad ammetterlo tardi, da anziani, anzi da vecchi, stremati e sguarniti della pazienza e della forza per sopportarlo, perché “prima, secoli prima, abbiamo tutti vissuto la meravigliosa menzogna morale, per non dire emotiva, della giovinezza”.

    E' la frase che ripete più spesso Gaia de Beaumont nel suo ultimo libro, “Vecchie noiose” (Marsilio), che è abitato da signore molto over e diverse da mia nonna, che non si è mai tinta i capelli, che non ha amiche, che non ha sfizi, che dice sempre le stesse cose, la più frequente delle quali è che è nata prima lei e subito dopo la paura, ma con le quali condivide una franchezza splendida, e splendidamente liberatoria, su un punto cruciale: invecchiare fa schifo. E non ci sono anime di notte che la sbugiardino, né Jack Nicholson misantropi e irresistibili per i quali impazzire d'amore a settant'anni come in “Tutto può succedere”, club di amiche ancora molto sprint, vedovanze molto hot, nipotini molto brillanti, case di riposo con piscina e slot machine. Gli anni addosso fanno schifo, mia nonna lo sapeva già a trentatré anni e ha cominciato ad abituarcisi, lamentandosi non per scaramanzia ma per previdenza e soprattutto per sfogo, come in quella barzelletta ebraica dove una paziente di un ospedale dice di non trovarsi bene perché funziona tutto e lei non può arrabbiarsi per nessun motivo.

    Le vecchie noiose di De Beaumont sono fantastiche, hanno i capelli rosa o azzurrognolo, guidano grandi macchine, si fingono sorde, si incontrano con i fantasmi dei mariti su un melo, bevono, cucinano o non cucinano affatto (una si nutre di biscotti che inzuppa nel caffè molte volte al giorno, perché ai fornelli c'è stata tutta la vita per gli altri, e adesso basta). Soprattutto, conversano tra di loro, e dicono cose talmente disperate e acute da essere divertenti. Come mia nonna che diceva che sarebbe morta quando aveva 33 anni ed era sana come un pesce: non ci avevo mai pensato che era vero, che sarebbe potuto succedere, e che era una cosa talmente atroce che dirla la rendeva divertente.

    “Stai bene?”, chiede il figlio a Ruby, una delle vecchie noiose. Risposta: “Cosa cambia?”.

    Voglio rispondere così per sempre anche io, credo non ci sia un modo migliore di dire la verità, e appena rivedrò mia nonna le suggerirò di fare lo stesso, e le prometterò di difenderla se qualcuna di noi si azzarderà a prenderla in giro, o a sbuffarle addosso che è catastrofista.

    Le VN vivono tutte a Pandora, una città abitata quasi solamente da anziani, dove c'è sempre il sole, 365 giorni all'anno, e ci si tiene compagnia, e una gatta grassa e fintamente generosa va a trovare tutte e tutti, e ci sono non più di venti maschi, e nonostante questo nessuna è felice, o in pace. Sono tutte molto incazzate, crude – “pensa al nulla, e accendi la tv” – e non appena vengono a sapere che l'asteroide Buon Vento prenderà in pieno il pianeta terra e ci sarà l'apocalisse, sono piuttosto sollevate, persino quella di loro che aveva detto diverse volte, nei momenti di sconforto e tedio di tutte, che non avevano bisogno di soldi ma di tempo, come se volesse continuare a vivere per sempre. E invece no, invece questo è un romanzo che racconta che la bellezza dura poco, molto meno di una vita, e che per la maggior parte del tempo la sola cosa che possiamo ripeterci è quella che ha scritto Flaiano e che Gaia de Beaumont ha posto in esergo: “Coraggio, il meglio è passato”. E vi assicuro che se provate a ripeterlo, per paradossale che sia o possa sembrarvi, vi metterà di un buon umore simile alla felicità. Coraggio, il meglio è passato, e non dovremo più andare in palestra, acconsentire al sesso entusiasticamente, avere pazienza, ascoltare, sentire, curare tutto, tutti.

    “Ora che sono morti tutti e finalmente avrebbe potuto rilassarsi, si è ammalata, povera”, ha detto mia zia alla fine della cena di Natale scorso, quella in cui ho scoperto che mia nonna è una vecchia noiosa per nascita. Però mangia tutti i cannoli che vuole, e non le fanno che bene.

    Simonetta Sciandivasci