IL TRUCE TRA INSULTI E REALTA'

Le felpe, il dibattito sul fascismo, la discussione sui migranti. Una piccola posta ha messo a nudo l'imperatore clown delimitando il raggio d'azione del Capitano d'Italia. Perché i controinsulti degli avanguardisti sovranisti sono un piccolo affresco del paese

    Per vedere un re nudo occorre un occhio di ragazzino. Per vedere un buffone (cit. Lucia Annunziata) nudo – abbastanza nudista, anche, e fuori dalle aree riservate – può bastare un occhio stagionato. C'erano altre due condizioni, nella favola: non essere cortigiani, e non appartenere nemmeno all'opposizione di corte. E' un privilegio che ho, non sono in carriera. Posso, alla sua maniera, dire stronzo a Salvini. O vile, per la tracotanza con cui parla degli inermi e disgraziati, “in crociera”, “la pacchia”, e con cui sbandiera dal Viminale, di passaggio, la busta dell'avviso di garanzia e la apre e se ne ride con gli spettatori, e poi chiama Aiuto! quando vogliono davvero processarlo, e si nasconde dietro il manichino grillino, come se don Giovanni avesse mandato Leporello dal Commendatore. Che sia Maramaldo, anche se non sa chi era Maramaldo – allora si informi, perché è il vero modello dell'Italiano di Prima gli Italiani – lo mostra da ultimo il rosario di irrisioni che ha sgranato sui cinquantadue naufraghi tenuti sul ponte per giorni e giorni, e “fino a Natale”, almeno: cristianissimo pensiero, evocare il Natale dai 40 gradi all'ombra di fine giugno.

    Ho scritto la mia piccola posta e, penso, troppi altri non l'hanno scritta. Anche se non arrivano a proclamare stupendo l'abito dell'imperatore-buffone nudo, trovano che sia decentemente abbigliato. Trovano rassicuranti le felpe, le uniformi usurpate, le camicie stazzonate e i calzoni sottopancia tirati su a due braccia a ogni reimmersione nella ressa delle telecamere. La prima anestesia pressoché totale attraverso cui siamo passati è stata quella del presunto dibattito sul fascismo. Se il governo vigente fosse tendenzialmente fascista, e quanto fosse, oltre che sbagliato storicamente, pericoloso praticamente, paragonarlo al fascismo. Si è spiegato che il fascismo era un'altra cosa, altra cosa le divise dei Balilla e l'orbace dei gerarchi e le squadracce del '21 e le leggi razziste del '38 eccetera. Naturalmente, nessuno che avesse un po' la testa sulle spalle si era mai figurato il ripristino dell'Opera Nazionale Balilla o l'invasione dell'Etiopia. Però si è riempito a vanvera del tempo e dello spazio, mentre succedevano cose. Poi è stato evidente anche ai ciechi che Salvini stava parassitando Di Maio e la sua armata di cartone e l'avrebbe presto ingoiato per sputarne il nocciolo, e allora è partito il nuovo dibattito: fra i fan di Salvini, che crescevano a vista d'occhio, e gli osservatori responsabili, impegnati a spiegare come qualunque parola appena chiara avrebbe fatto il gioco di Salvini.

    C'è una terza onda di saggezza: avverte di smettere di evocare l'accoglienza dei migranti, perché “non si può accogliere tutti”. D'improvviso si ridiscute di migranti come se fosse il primo giorno. Si sono accorti che i migranti, specialmente se neri, e tanto più se percepiti, spingono la brava gente alla paura, al risentimento, alla rabbia. Al fascismo, in sostanza. L'ambigua fortuna del libro di Scurati, limpidamente dedicato pochi giorni fa a chi ha combattuto il fascismo, spinge almeno a reinterrogarsi sulla tragedia politica e prima ancora umana che nel primo dopoguerra contrappose gli operai e i contadini ai reduci graduati e agli arditi. Dalla guerra spaventosa uscivano due fronti opposti con due opposti conti da saldare. Noi non usciamo da una guerra, benché ne siamo circondati. Usciamo (ci siamo in mezzo) da un radicale trasloco delle ricchezze e dei poteri. Siamo destituiti, al punto che il forte vantaggio relativo, di cui godiamo ancora, cede alla paura di quello che verrà dopo. La migrazione è il punto di condensazione di questa crisi tellurica. Occorreva, occorre ancora, affrontarne le radici e la portata universale, e distinguerla dagli esseri umani in carne e ossa che di volta in volta la risacca marina o i fondali dei Tir ci portano in casa. Con gli esseri umani non si può che accogliere, e meglio lo si fa, più si investe nel loro valore potenziale, più e meglio si assicura il proprio presente e il futuro dei nostri pochi figli. Il “problema” è altra cosa. Altra cosa l'inerzia, l'ottusità o il cinismo nei confronti di guerre appena più distanti, mattatoi come quello siriano, fonte di milioni di spostamenti, morti e mutilazioni, onde successive di fughe disperate. Da otto anni dura quel singolo mattatoio. Nessuno in Europa, tanto meno in Italia, ha voluto misurarcisi. Bisognava sporcarsi le mani, certo. Spendere, anche. Abbiamo speso più generosamente in Turchia, perché se li tenesse, dopo l'alluvione di un'estate. Più avaramente in Libia, motovedette multiuso, un ospedale da campo. A debellare la centrale jihadista che mandava a fare strage nelle città europee (non migranti, cittadini, del resto) abbiamo delegato qualche banda rivale nella guerra fra sunna e shia, e i curdi. Li abbiamo aiutati, stando attenti a non superare i confini dettati dall'ipocrisia: addestrare, tutt'al più rifornire in volo i bombardieri altrui. Abbiamo finto di rispettare rigorosamente la differenza fra rifugiati e migranti “economici”, per picchiare più duro (e insultare più brutalmente) sui secondi, cedendo sempre più anche sui primi. Abbiamo fatto come con la famosa guerra alla droga, che lascia scorrere la droga e fa guerra ai drogati. Stiamo facendo la guerra ai migranti, e ignorando le migrazioni. Abbiamo fatto finta che la questione del clima sia tutt'altro affare. Finché non abbiamo ceduto di schianto, e siamo al punto di chiederci se Minniti sia stato un Salvini, ma parecchio meno, o Salvini sia un Minniti, ma molto di più. Intanto le persone sono state lavorate, spinte a trovare dentro di sé, sempre più in fondo, qualcosa che non conoscevano, o che tenevano a bada. Si sono liberate. Non è “la rete”, successe anche quando la rete non c'era e nemmeno la televisione, che è quasi peggiore. E' la combinazione fra uno spirito da anni Trenta, diciamo (per favore, non spiegatemi la differenza fra gli anni Trenta e il 2020) e la rete. Nei giorni scorsi, dopo che me l'ero cercata, ho fatto una modesta esperienza di una parte dello spirito pubblico. Ho attinto a questo scoperchiamento. Salvini in persona ha solo promesso querele: volentieri. Non così gli intervenuti, qualche migliaio, in un estemporaneo travaso dal vasto serbatoio del loro capitano. Sono un'avanguardia dell'avanguardia, dal momento che si sono presi la briga di venire a controinsultarmi. C'è una prima categoria di epiteti, moderata, diciamo: quelli che scrivono “Taci, vecchio pregiudicato”. A parte il tacere, che è un eccesso di zelo, sul resto d'accordo: sono vecchio e sono pregiudicato. Qualcuno perfeziona scrivendo “… pregiudicato di merda”, ma qui siamo già in una categoria successiva. Sempre in questa comprenderei la vasta messe di “Assassino” o “mandante di assassinio” e simili. Qui non sono affatto d'accordo, come potete immaginare. Ma una sentenza della giustizia italiana autorizza chiunque a chiamarmi così, se ne abbia voglia. (Avviso: la sentenza invece non autorizza a chiamarmi “terrorista”. I giudici temerari che ci hanno imputati e condannati si sono guardati dall'evocare l'aggravante del terrorismo). Anche qui, gli zelanti completano “assassino di merda”, e rientriamo nella categoria successiva. La merda è ubiqua, servita sola o come accompagnamento di altri epiteti. Aggettivata, caso mai: rossa, secca. Illustrata, molto illustrata. Uno di questi coprofili mi suggerisce di “cagarmi da solo, tanto una merda è una merda”. Un caso di esportazione della famosa autoreferenzialità. C'è un ricordo, come un rimpianto involontario, di olio di ricino. Anche “stronzo”, direte, evoca la coprolalia (per sineddoche, la parte per il tutto) ma il tempo l'ha allontanata dall'origine. Prossima categoria prediletta, connessa, se non altro per adiacenza: il culo. L'ossessione per la merda è surclassata da quella per l'omosessualità e la fantasticata sodomizzazione virile. Questa categoria comprende l'idea che gli intervenuti si fanno degli “africani” e della galera. “Affidati alle cure di uno di quegli africani che tanto adorate”. (Nelle citazioni della signora Carola Rackete, il tema è iperbolicamente variato). Galera, immaginata, augurata e, chissà, vagheggiata: “Ti mancano i tuoi compagni di cella femminuccia”, “L'hai scritto perché non vedi l'ora di tornare in quella cella dove ti sodomizzavano femminuccia”, “Parassita ti manca la cella dove te lo buttavano ogni sera”. Seriali gli esercizi penetrativi o espulsivi: “Ti meriti un missile in culo”, “Prova a infilarti la testa nel culo e vedi un po' se ci entra”, “Sei un parto anale”.

    Le minacce, fisiche e di morte, sono naturalmente numerose: impalato, in un vestito di zinco, di un brutto male che mi renda presto concime, una brutta fine in fondo al mare (qui c'è un'eco dell'attualità). Uno è legalitario: “Se me ne dessero la possibilità legale ti zitterei (sic) definitivamente”. Nostalgia dei concorsi per boia. Parecchi annunciano di aspettarmi, fuori o a casa. Un paio si ripromettono di venire sulla mia tomba, uno “a pisciare”, un altro, massimalista, “a cacare”. C'è una vasta categoria di male informati: passo per assassino di carabinieri, di magistrati. Mi danno per “graziato per motivi umanitari”. Andiamo brevemente all'entomologia: zecca, naturalmente, “che andrebbe appesa per i coglioni”; “verme bolscevico”. Ci sono casi cortesi: “Di gente stupida come lei signor Sofri non diamo importanza infatti come con le zanzare noiose le schiacciamo”. C'è, inevitabilmente, la categoria delle minacce ai famigliari, sono le sole che trasmetto alle autorità competenti. Ancora più inevitabili le evocazioni della madre, troppo banalmente triviali. Segnalo solo l'ossessione per la parola aborto. Uno, che si firma con un nome maschile, scrive, con un notevole trasferimento clinico: “Tu sei nato da uno stupro, in quanto tua madre batteva. Io ti avrei abortito”. Un obiettore di coscienza alla rovescia. C'è la categoria di quelli secondo cui avrei cercato i miei due minuti di notorietà. Siamo tutti un po' meschini, ma sbagliano. Sono fuori concorso. Anche voi salvinisti spinti siete tracimati fin da me solo perché il mio amico Saviano, che è intelligente e spiritoso, ha visto il mio esercizietto di parodia e l'ha chiamato spiritosamente “l'analisi politica più lucida degli ultimi mesi”. Ecco, prima di chiudere la sommaria antologia citerò una frase extracategoriale che mi ha quasi commosso per il suo sforzo retorico: “Forse soffri di Alzheimer”. Amen.