IL MONDO SPIEGATO CON DIECI FIGLI
Il Figlio ha compiuto da poco tre anni. Tre anni di storie, racconti, libri, tormenti, lettere, disegni. Tutte le settimane, una dopo l'altra, ho raccolto le confessioni sui figli che siamo o che abbiamo, o quelli che credevamo di non desiderare e che una mattina ci hanno trafitto il cuore. I padri cambiati, cresciuti, invecchiati, e poi la guerra con le madri, le telefonate di notte, e dirsi addio cento volte per non dirselo mai. I ricordi, che all'improvviso ci vengono a cercare e non ci lasciano più. La felicità dentro un messaggio, dentro una stanza, dentro una culla. La voglia di scappare. Un giorno in cui avevo perso il filo mi sono seduta davanti al computer, ho infilato la chiave nella porta dell'archivio, ho aperto queste stanze e ho riletto tutto. Le storie di tutti, i momenti di tutti. Mi sono divertita e commossa: in quello che ho ritrovato di me, ma soprattutto in quello che hanno scritto gli altri, mi è sembrato che fosse custodito anche il tempo che abbiamo passato scrivendo. Il tempo della vita, quindi, e anche se tre anni sono pochissimi, sono un minuto o due, sono una domenica pomeriggio al massimo, un tempo che assomiglia a volte alla giovinezza.
Fatta di estati al mare con i bambini ancora piccoli, quando tutto il mondo sta dentro una buca nella sabbia e nelle gambe appiccicose di crema solare, e fatta di altre vite che non abbiamo vissuto ma che allora, da dentro quella buca nella sabbia, erano ancora possibili e desiderabili. Il divertimento, la stanchezza, l'amore. Tutti quegli sbagli, e poi lei che dice: mamma. La colazione insieme. La paura del buio, poi la paura di invecchiare, e la scoperta che non si diventa mai grandi. La paura che i figli muoiano. Il momento in cui una donna di fronte ai vestiti nell'armadio pensa alla bambina che non ha.
E poi la Seat Ibiza, la Russia, Bologna, il Perù, Roma, il mare, i film di Nanni Moretti, il treno, Messina: tutti i posti in cui una storia è cominciata. Questo tempo fatto di istanti e di lampi e anche di malinconia mi è tornato addosso per aver letto tre anni di vita del Figlio, e allora abbiamo pensato di cucirlo insieme, di mettere un po' di lampi uno accanto all'altro: aprire a tutti lo scrigno dei ricordi, e oggi cominciamo, per continuarla anche il mese prossimo, questa piccola rassegna con Francesco Piccolo, Edoardo Albinati, Rosella Postorino, Nadia Terranova, Ilaria Macchia, Alessandro Piperno, Claudia Durastanti, Giuliano Ferrara, Giacomo Papi, Silvia Avallone.
Scrittori, figli, a volte genitori.
Hanno raccontato non solo che cos'è l'infanzia, ma come cambia, come sparisce, e che cosa porta con sé dentro le vite adulte, o dentro il confronto con i figli.
I figli, appunto: averli o non averli, desiderarli, sgridarli, le madri, i padri, le vecchie zie, le domande idiote, i litigi, e anche i pensieri segreti, il rimpianto. E' uno spazio immenso perché contiene tutto quello che siamo e gli dà vita anche per contrarietà, per senso di fuga. Scappare di casa, e poi ritornarci e pretendere che sia rimasto tutto identico ad aspettarci e che nessuno abbia perso la propria forza, che la tavola sia ancora apparecchiata allo stesso modo, con la stessa tovaglia a quadretti, con gli stessi piatti gialli.
Passare notti insonni, lanciare i bambini in aria e un attimo dopo ritrovarli grandi, che ti guardano con sospetto. Tutto cambia, tranne le notti insonni. L'eco delle voci altrui, i ricordi, il presente, la concretezza degli oggetti e delle abitudini, e quel che succede fuori e ci costringe a pensare, a chiederci che cosa avremmo fatto noi, che genitori siamo noi, che figli siamo diventati noi. Qualcuno a cui dare la colpa, qualcuno da tradire per riuscire a cambiare. E lo struggimento che ci prende, appena ci allontaniamo da lì. Forse il segreto di tutto è proprio lo struggimento: questa forza che ci spinge a desiderare sempre, ancora e ancora. Nelle telefonate, ma soprattutto nelle lettere con cui ho tormentato le persone perché scrivessero un racconto per il Figlio, ho chiesto una cosa soltanto: che fosse vero.
Vero non significa per niente verissimo, cronachistico, biografico, con testimoni oculari e documenti di identità. Significa mostrare un mondo, e quindi un io, che non importa se sia reale o immaginario: è invece importante che sia vero. Non è il teatro, non è il cinema, è un foglio di carta, e la sua unica possibilità è essere vero. Le parole scritte devono muoversi insieme e costruire delle storie a cui noi possiamo consegnarci con fiducia, a cui possiamo credere: l'illusione di una realtà più reale della nostra stessa vita. E che cosa c'è di più reale, e di più illusorio, del movimento degli esseri umani, avanti e indietro nel tempo?
Ecco a voi questi dieci scrittori, queste dieci storie. Credo che ci troverete un pezzo della vostra.
Il Foglio sportivo - in corpore sano