Sovranismo è dirigismo. Parla Boeri
Roma. Tito Boeri, economista alla Bocconi ed ex presidente dell'Inps, dice che se c'è un comune denominatore della politica economica della coalizione di governo è il “sovranismo”, contrapposto alla “sovranità”. “Si invocano più poteri per se stessi togliendo sovranità agli elettori. Se rendiamo le reti infrastrutturali materia esclusiva delle regioni, sarà ancora più difficile, ad esempio, potenziare una linea ferroviaria che attraversa più regioni perché bisognerà mettere d'accordo più governatori. Allo stesso modo, cosa vuol dire decidere quante ore bisogna lavorare in tutte le imprese? Così si toglie sovranità ai lavoratori”.
Eppure per la prossima manovra è stata annunciata la “flat tax”. “Come nel caso delle autonomie, non c'è un testo. Abbiamo solo sentito vaghe idee di cose che non hanno nulla a che vedere con una vera flat tax. Prima è stato proposto di tassare al 15 per cento i redditi incrementali rispetto all'anno precedente. Sarebbe un regalo per gli evasori totali ai danni dei lavoratori dipendenti. Poi al Viminale Siri ha proposto una tassa basata sul reddito familiare, che penalizza i nuclei familiari e appesantisce la tassazione del lavoro delle donne, ed è indicativo che nella delegazione governativa non ci fosse alcuna donna. Si parla tanto di difesa della famiglia, ma poi accanto al reddito di cittadinanza si fa un'altra operazione a favore dei single”.
Perché il reddito di cittadinanza penalizza le famiglie? “Pur di dare ai single 780 euro, una cifra molto alta, si è deciso di penalizzare le famiglie numerose, dove è maggiormente concentrata la povertà. Così anche se una famiglia ha sei figli non può prendere più di 2,5 volte di quanto percepisce un single”.
“Non c'è alcuna scala di equivalenza al mondo che sia fatta in questa maniera, come è stato fatto per il reddito di cittadinanza – dice Tito Boeri – dato che tutti gli schemi di contrasto alla povertà tengono conto del numero dei figli. Perché sono le famiglie numerose quelle dove si annida la povertà”.
L'alto punto forte della prossima manovra è invece il salario minimo, che il M5s vuole fissare a 9 euro all'ora. Il suo successore all'Inps, Pasquale Tridico, ha benedetto la proposta di Luigi Di Maio: ok, il prezzo è giusto. Secondo lei? “Introdurre un salario minimo in Italia è un'ottima idea. Ma la decisione chiave non è tanto sul metterlo o meno, quanto sul livello. Da dove vengono questi 9 euro? Mi viene mente quando ero andato in Ucraina all'indomani della dichiarazione di indipendenza dall'Unione Sovietica. C'erano i librettini che si usavano al ministero delle Finanze con l'elenco di tutti i prezzi stabiliti per ogni singolo taglio di carne. Si vantavano di questa cosa. Ma come avete stabilito questi prezzi? ‘è il prezzo giusto', dicevano. A me risulta dai dati Inps che sotto i 9 euro orari ci sono il 45 per cento delle persone che lavorano al sud. Se il governo fissa un salario minimo più alto di quello a cui oggi lavora quasi metà delle persone al sud, qualche problema lo crea”.
E' quindi troppo elevato? Bisogna partire da un livello più basso? “In Italia, con differenze così forti tra aree geografiche, bisogna partire con un salario minimo basso, pensato sui livelli salariali del Meridione. E poi, se è il caso, le regioni possono pensare a indicare salari minimi più alti. Insomma, come funziona negli Stati Uniti, dove c'è un salario minimo federale e uno a livello statale”.
A proposito di modello americano. Lei conosceva Alan Krueger, l'economista statunitense da poco scomparso che in uno dei suoi studi più celebri ha affermato che un lieve incremento del salario minimo può non far perdere posti di lavoro. Quella di Tridico non è in fondo la stessa tesi, ma agli steroidi? Krueger sì e Tridico no? “Card e Krueger hanno trovato un effetto positivo per salari minimi bassi, in una situazione in cui il datore di lavoro ha un potere di monopolio, chiamato monopsonio, che gli permette di pagare il lavoratore al di sotto della sua produttività. In queste condizioni un salario minimo, all'interno di un certo intervallo, può avere un effetto positivo sull'occupazione. Ma se sale troppo a prevalere è l'effetto negativo. Mi sembra che 9 euro sia davvero un livello elevato, soprattutto guardando la distribuzione dei salari nel Mezzogiorno, che come effetto produrrà una riduzione dell'occupazione. Almeno quella regolare, perché poi il rischio è di far aumentare il lavoro nero”.
Nella relazione del nuovo presidente dell'Inps è emersa, come idea, anche la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario per aumentare l'occupazione. Rispetto alla Germania lavoriamo troppe ore e abbiamo una disoccupazione più elevata, è l'osservazione. “Lavorare meno, lavorare tutti”, sarebbe la soluzione. Può funzionare? “E' un'altra cosa detta non guardando alle lezioni della storia. Nulla di nuovo, sono errori già fatti in Francia negli anni Ottanta da Mitterrand con le 39 ore, che hanno distrutto posti di lavoro spingendo molti verso la povertà. E poi più recentemente con le 35 ore della Aubry, mitigate da sussidi molto generosi alle imprese per moderare gli effetti occupazionali negativi. Non si può imporre di lavorare meno per legge senza far lavorare meno persone. Un conto è se la riduzione dell'orario avviene nell'ambito della contrattazione tra imprese e lavoratori, ma altra cosa è imporlo d'imperio a tutte le imprese. L'effetto sarà ridurre la competitività delle imprese italiane che già hanno un costo del lavoro per unità di prodotto molto elevato”.
In queste proposte c'è però uno statalismo che proviene dalla storia della sinistra. “C'è dirigismo, e una rivendicazione di potere ai danni dei cittadini. Al fondo c'è questo concetto comune di sovranismo, che vuol dire rivendicare ulteriori poteri politici da parte di chi già riveste posizioni di potere. Come se non ne avessero già abbastanza”.
Rientra in questo filone la proposta di Tridico di lanciare un fondo complementare dell'Inps? “Un'altra idea contraria agli interessi dei lavoratori. Oggi il problema pensionistico è l'eccessiva concentrazione del rischio sull'Italia, perché il metodo contributivo lega il rendimento all'andamento dell'economia italiana. Il secondo pilastro del sistema italiano deve permettere di diversificare i rischi, anche su altri paesi con profili di crescita economica e demografica migliori del nostro. Ciò che mi ha colpito di più è proprio la giustificazione di questo fondo complementare dell'Inps: compriamo titoli di stato italiani e investiamo in Italia. Ma questo vuol dire voler male ai lavoratori, aumentare i loro rischi e ridurre i rendimenti”. E' repressione finanziaria, ma con un linguaggio sovranista si può forse dire che sono “contributi per la patria”? “I lavoratori dipendenti di contributi ne pagano già troppi”.
Luciano Capone
Il Foglio sportivo - in corpore sano