Eurozonaltalenante

Alberto Brambilla

    Roma. Mentre nel resto del mondo si parla di “jobs boom” in Italia il ministro Luigi Di Maio sorride per un calo mensile della disoccupazione dello 0,1 per cento (9,7 a giugno rispetto al 9,8 di maggio), sotto la soglia psicologica del 10 tondo. Per questo “risultato” il governo non ha meriti, e nessuno si chiede come può continuare questa tendenza quando il paese non cresce da cinque mesi consecutivi e le prospettive sono in peggioramento. I sondaggi sulle intenzioni di assunzione delle imprese suggeriscono infatti che non ci sarà crescita dell'occupazione.

    Intanto i paesi più ricchi del globo stanno riscontrando una crescita senza precedenti del numero di lavoratori, come segnalava l'Economist a maggio. Negli Stati Uniti la disoccupazione è al 3,7 per cento, ai minimi dal 1969. Un altro risultato che qualche anno fa poteva sembrare impensabile è che il tasso di disoccupazione nell'Eurozona è sceso rapidamente. I dati pubblicati ieri dall'Eurostat, l'ufficio europeo di statistica, mostrano che la percentuale di persone fuori dal mercato del lavoro è vicina ai livelli precrisi. Il tasso di disoccupazione destagionalizzato dell'area euro è stato del 7,5 per cento a giugno 2019 – in calo dal 7,6 di maggio e dall'8,2 di giugno 2018. Si tratta del tasso più basso registrato dal luglio 2008 nel blocco di diciannove paesi dell'euro. Rispetto a un anno fa le persone senza lavoro nell'Eurozona sono circa un milione in meno. La Germania è vicina alla piena occupazione (3,1 per cento di disoccupati), la Francia è stabile (8,7). La Spagna fa progressi, ma ha ancora un tasso disoccupazione tra i più alti (14).

    Questo non significa che gli strascichi della crisi siano superati né che le buone notizie sul mercato del lavoro si tradurranno in un aumento dei salari. La disoccupazione giovanile è ancora alta in Spagna, Italia e Grecia. Quando i più giovani trovano lavoro è spesso temporaneo. Nonostante la crescita dei salari sia modesta nell'area euro, l'inflazione è ancora bassa. L'inflazione complessiva è scesa dall'1,3 per cento di giugno all'1,1 di luglio. Quindi è probabile che prima di sperimentare un robusto aumento dei prezzi la disoccupazione dovrà scendere a livelli molto più bassi di oggi. E' però difficile immaginare come si potrà vedere un ulteriore calo della disoccupazione visto che il settore manifatturiero è in difficoltà in tutta l'area. E' più facile immaginare una retromarcia o una stasi del mercato del lavoro.

    Le prospettive di crescita sono al ribasso, in linea con le attese della Banca centrale europea diventate più cupe. Secondo le stime preliminari pubblicate ieri da Eurostat, il pil dell'Eurozona è in contrazione. A metà anno la crescita si è dimezzata: il pil dell'area è passato dallo 0,4 per cento del primo trimestre, di per sé modesto, allo 0,2 per cento nel secondo. E mentre prima la debolezza era soprattutto concentrata in Germania, con difficoltà marcate nel settore automobilistico propagatesi alla chimica e alla siderurgia, ora il rallentamento del ciclo è una condizione comune non soltanto all'Italia, come si sa, ma anche alla Francia, alla Spagna, all'Austria e al Belgio.

    Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, aveva detto nella conferenza stampa della settimana scorsa che ci sono stati alcuni punti positivi nell'economia dell'Eurozona, come per esempio nei servizi e nelle costruzioni, dove si registra comunque una crescita modesta, ma aveva aggiunto che “le prospettive stanno peggiorando”, specialmente riguardo all'industria manifatturiera. La serie di dati economici deboli pubblicata ieri dall'ufficio europeo di statistica rafforza dunque l'idea che la Bce annuncerà un nuovo pacchetto di stimoli straordinari a settembre, in occasione del prossimo Consiglio direttivo, con un taglio dei tassi d'interesse, seguendo la Federal Reserve che ieri ha tagliato di un quarto di punto il costo del denaro. Un taglio dei tassi in autunno per la Bce sarebbe prodromico a un secondo round di Quantitative easing nel 2020, sotto la presidenza di Christine Lagarde, nel tentativo ulteriore di mitigare il rallentamento in corso.

    Alberto Brambilla

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.