Perché i gialloverdi hanno portato crescita zero e lavoro declinante
Si riduce la forza lavoro
L' Istat ha diffuso le stime più recenti sull'andamento del pil italiano e dell'occupazione e questo permette di aggiornare la valutazione del quadro congiunturale. Il quadro appare complessivamente negativo, data l'assenza di crescita, ma è utile entrare nel dettaglio per capire da un lato le differenze tra i vari settori e dall'altro l'impatto delle azioni di politica economica dell'ultimo anno. I dati sul pil mostrano una situazione stagnante, con crescita zero sia rispetto al trimestre precedente sia rispetto al secondo trimestre 2018, quello in cui si insediò il governo Lega-M5s.
La congiuntura internazionale continua a essere relativamente debole, ma è noto che l'Italia sta facendo peggio praticamente di tutti i paesi sviluppati. La scarsa crescita degli anni passati è stata trainata principalmente dalle esportazioni. Questo traino si è ora indebolito. La nota Istat afferma che “vi è un contributo nullo sia della componente nazionale (al lordo delle scorte), sia della componente estera netta”. In sostanza, l'Italia continua a essere incapace di innescare un processo di crescita endogeno. I dati sull'occupazione, relativi alla variazione del mese di giugno, sono stati celebrati come positivi a causa della diminuzione del tasso di disoccupazione. In realtà le zone d'ombra sono maggiori delle zone di luce. Il numero totale di occupati infatti è diminuito di seimila unità rispetto al mese precedente. Nel giugno 2019 gli occupati erano 23,4 milioni, mentre erano 23,3 nel giugno 2018. L'aumento netto è stato di 115 mila unità. Meglio che niente ma nulla di spettacolare; il dato di giugno sembra invertire la tendenza alla crescita.
Guardando in modo congiunto i dati sul pil e sull'occupazione, la prima considerazione da fare è che la produttività per occupato sembra restare problematica. La produttività è data dal rapporto tra prodotto totale e numero di occupati. Se il numeratore resta costante ma il denominatore aumenta, il valore del rapporto scende. Stiamo parlando di cifre piccole, dato che l'aumento dell'occupazione è minimo, ma purtroppo questi dati sembrano confermare una tendenza pluridecennale. L'economia italiana è incapace di generare seri incrementi di produttività e in particolare continua a perdere terreno rispetto alle altre economie, che non sono certo rimaste ferme come noi. La seconda osservazione interessante riguarda la ripartizione della crescita tra dipendenti e indipendenti. L'aumento di 115 mila unità verificatosi nell'ultimo anno è stato fortemente asimmetrico. Il numero di lavoratori dipendenti è aumentato di 191 mila unità (di cui 177 mila dipendenti permanenti) mentre il numero degli indipendenti è calato di 76 mila unità. Più nel breve termine, rispetto a maggio 2019 i dipendenti sono cresciuti di 52 mila unità mentre gli indipendenti sono calati di 58 mila unità, generando il saldo negativo di 6 mila unità. Vedremo se i vantaggi fiscali che il governo ha introdotto a favore dei lavoratori indipendenti (cosiddetta “flat tax per gli autonomi”) porteranno a una qualche inversione di tendenza. La tendenza a una ricomposizione dell'occupazione in favore dei dipendenti continua a restare marcata e il governo appare avere puntato sul cavallo sbagliato. La terza osservazione è che la forza lavoro si sta contraendo. Calano tutte le categorie rispetto a maggio 2019: meno 6 mila occupati, meno 29 mila disoccupati, meno 14 mila inattivi. Un totale di meno 49 mila. Anche su base annua, rispetto a giugno 2018, si registra una contrazione della forza lavoro pari a 150 mila unità. Ricordiamo che stiamo parlando della popolazione tra 15 e 64 anni. In Italia c'è sempre meno gente in età da lavoro, un fatto di estrema importanza che continua a essere ignorato. L'ultima osservazione riguarda la composizione territoriale. Non se ne parla nei due documenti Istat usciti il 31 luglio, ma sarebbe interessante sapere se i divari regionali stanno aumentando. Le stime preliminari per il 2018, del 26 giugno scorso, mostravano un divario regionale in allargamento, con il nord in crescita nettamente maggiore rispetto al sud. Per la crescita dell'occupazione esiste sempre un divario a favore del nord, ma inferiore rispetto a quello relativo alla crescita del sud. Ciò significa che la produttività del lavoro al sud continua a crescere meno che al nord e che il divario nei redditi pro capite crescerà. Se confermato dai dati futuri, porterà a seri problemi sia economici sia politici.
Sandro Brusco
Il Foglio sportivo - in corpore sano