Commissario bluff
Roma. Come chi s'affanni nel voler ridimensionare le aspettative del pubblico, dopo averle a lungo fomentate, ora i vertici della Lega cambiano strategia sul commissario europeo. Per mesi gli esponenti del governo gialloverde hanno puntato tutto sulla Concorrenza, dando per acquisito un portafoglio che a Giuseppe Conte era stato solo prospettato insieme a vari altri; per settimane il nome di Giancarlo Giorgetti era stato vagliato da Matteo Salvini come l'unico in grado di poter puntare a quella prestigiosa delega. Poi, d'incanto, il cambio di obiettivo. “Puntiamo sull'Agricoltura, che tutti sottovalutate, ma che gestisce il budget più consistente”, ha detto ieri Gian Marco Centinaio, che dell'Agricoltura è già ministro e che sarebbe il candidato naturale per quell'incarico europeo. Un incarico che, tuttavia, appare una evidente scelta di ripiego.
Certo, sull'entità del budget Centinaio non sbaglia: il commissario all'Agricoltura gestisce circa 53 miliardi di euro all'anno, e cioè quasi un terzo dell'intero bilancio comunitario. Una cifra enorme, su cui però il prossimo responsabile del portafoglio rischia di potere incidere poco, dal momento che le varie voci del budget, e molte delle modalità di spesa, verranno stabilite dal prossimo bilancio europeo per il settennato 2021-2027, che è stato già ampiamente definito e dovrà essere votato, all'unanimità, tra la fine di quest'anno e, al più tardi, l'inizio del prossimo.
Ma ciò che, soprattutto, guasterà i sogni dei leghisti sarà scoprire come, a differenza di quanto lasciano intendere nei loro commenti più o meno ufficiali, sia difficile dirottare i finanziamenti europei destinati all'agroalimentare da un paese all'altro. Al massimo, un commissario europeo, può decidere – comunque d'intesa col resto della Commissione – se puntare di più su, per ipotesi, latte e carne, avvantaggiando i paesi del nord, o su frutta e verdura, favorendo l'area mediterranea. Ma per ciò che riguarda i fondi ai singoli paesi, le modalità di erogazione rispondono a criteri stringenti, destinati a diventare, stando alle proposte di riforma dei regolamenti del settore proposti da Bruxelles, ancora più severi. Si abbandonerà, ad esempio, il principio del sostegno ai grandi farmer per premiare le produzioni più sostenibili dal punto di vista ecologico. Parametri più oggettivi, insomma, che concederanno minore discrezionalità alle strutture del commissario nell'assegnazione dei fondi. La stessa riforma della Politica agricola comune (Pac), ancora tutta da discutere, si muove nella direzione di una progressiva nazionalizzazione dei fondi. Non più, cioè, finanziamenti a pioggia gestiti direttamente da Bruxelles; ma pacchetti di fondi da assegnare ai singoli paesi sulla base di piani strategici nazionali. Una riforma assai osteggiata dall'Italia, specie a livello delle singole regioni, ma che in ogni caso si fonderebbe su princìpi di merito difficilmente aggirabili.
Infine, la tutela dei marchi. “Bisogna difendere con le unghie e con i denti il made in Italy nell'agroalimentare”, ha ribadito tre giorni fa Salvini, alludendo a un prossimo commissario all'Agricoltura leghista. Dimenticando, però, che sui casi di contraffazione il commissario direttamente competente, a livello europeo, non è affatto quello all'Agricoltura, ma quello al Commercio. Un altro di quelli che, proprio insieme alla Concorrenza, oltre che all'Industria, venivano considerati prioritari dagli stessi leghisti. Prima di accorgersi, forse, che per quelli sono già stati tagliati fuori dal cordone sanitario europeo. Meglio ripiegare sull'Agricoltura, e provare a vendersela, comunque, come una vittoria.
Valerio Valentini
Il Foglio sportivo - in corpore sano