Parlare a vanvera

    Per calcolare la vera nocività del cialtrone non basta misurare la distanza tra la posizione che lui riterrà di occupare e la sua reale collocazione, giacché così facendo si correrebbe il rischio di sottovalutare i dannosi effetti psicologici che il cialtrone provoca, i quali vanno a sommarsi a quelli materiali. Una più accurata valutazione deve considerare la delusione che si proverà quando a un certo punto inevitabilmente si realizzerà l'esistenza di questa distanza (DPR, Delta Percezione Realtà): fatto che indurrà a stimare, sulla base di una reazione emotiva, una nuova posizione del cialtrone solitamente in senso peggiorativo (in pratica, sull'onda della delusione, il cialtrone apparirà addirittura più cialtrone di quanto sia in realtà): una sorta di parallasse concettuale. Chiameremo questa nuova posizione stimata Posizione eteropercepita del cialtrone. E' da notare che la distanza DAEP (Delta Auto-Etero Percezione) tra questa nuova posizione eteropercepita e la posizione autopercepita del cialtrone è sempre maggiore della distanza DPR, ovvero di quella tra la posizione autopercepita del cialtrone e la sua posizione reale. La figura 5 illustra bene la situazione.

    Pertanto solo il valore DPC (Delta della Perniciosità del cialtrone, cioè la distanza tra posizione reale e posizione eteropercepita) indicherà la reale nocività sociale del cialtrone in oggetto.

    Archistar e arcistronzi

    A conclusione di questo capitolo eminentemente teorico, il racconto di Mirella B. di Rezzato (Brescia) ci giungerà in aiuto, dimostrando sulla base dell'esperienza diretta la nocività cialtronesca in atto.

    Testimonianza n. 2

    L'anno scorso ho deciso di ristrutturare la villotta della fine del Settecento che avevo finalmente finito di pagare dopo un mutuo decennale da incaprettamento. Ho chiesto alla mia amica Deborah, che conosce tutto il mondo, e lei mi ha presentato l'architetto Gerolamo G*.

    Lo chiamo, prendo appuntamento e vado nel suo studio: strada del centro, moquette alta tre dita, due segretarie bellissime, alle pareti quadri d'autore e foto del suddetto G* in compagnia di Renzo Piano, Toyo Ito, Philip Johnson, Frank Gehry. Se avessi guardato bene avrei forse notato che i quadri di Degas erano stranamente gli stessi che avevo visto al Quai d'Orsay qualche anno prima e che nelle foto in mezzo agli altri architetti G* sembrava sempre un po' più a fuoco degli altri, ma allora non vi feci caso.

    G* è vestito con un completo écru dalla giacca lunghissima, simile a certi costumi in uso in India. Non mi dà la mano ma le riunisce sul petto e fa un inchino col capo. Ci sediamo. Parla lentamente e con un filo di voce, per cui mi obbliga a sporgermi in avanti per sentire. Mi chiede di esporgli il mio problema e chiude gli occhi. Glielo espongo. Resta in silenzio per un tempo lunghissimo, poi quando comincio a pensare che si sia addormentato mi dice, pianissimo, che gli ricorda la ristrutturazione che ha dovuto fare a suo tempo per la Rondinaia, la villa di Gore Vidal a strapiombo sul golfo di Ravello dove il grande scrittore ha abitato per trent'anni. [Con questa messinscena in puro stile goffmaniano, G* setta la cosiddetta “Posizione autopercepita del cialtrone”, che al momento è anche quella percepita da Mirella, o perlomeno quella su cui lei sospende l'incredulità].

    Confesso che rimango impressionata, anche se faccio finta di niente, come se per me fosse normale il sabato andare a pranzo a Cape Cod con qualcuno del clan Kennedy, invece che con la mia amica Samantha al Wild Branch [sic], una vecchia pizzeria sulla Gardesana occidentale (SS 45bis) riconvertita in locale cool da un ex corriere della camorra che non poteva più fare il suo lavoro perché gli avevano sparato a entrambe le gambe. Infatti, adesso era costretto a girare con una specie di girello, che non era neanche tanto bello da vedere mentre cercavi di mangiare le tue uova al bécon [sic], come recitava il menu.

    G* mi prospetta ristrutturazioni mirabolanti. A un certo punto si incaponisce che mi vuole installare assolutamente una piscina a vista sul tetto il cui bordo si confonde con l'orizzonte e riesco a dissuaderlo solo quando gli dico che all'orizzonte c'è una vecchia acciaieria abbandonata dagli anni Sessanta e che il tetto non è piatto.

    Comunque, alla fine, dopo tre mesi di incontri ogni quindici giorni, ci accordiamo su un progetto. Bello, elegante, sobrio. Cominciano gli acquisti dei materiali. Probabilmente l'alta velocità Milano-Salerno ha avuto una discrepanza tra preventivo e consuntivo molto minore. Se non avessi deciso di tagliare il bagno degli ospiti interamente in cristallo probabilmente sarei finita a chiedere l'elemosina (o fare di peggio) sulla Gardesana. In ogni caso finalmente ci siamo, possiamo cominciare i lavori.

    O meglio, avremmo potuto cominciare i lavori, se non fosse stato che l'impresa edile scelta da G*, a suo dire dei veri artisti, edili da generazioni e generazioni come non se ne trovano più, erano per metà albanesi e per metà rumeni, non avevano uno straccio di inquadramento professionale, men che meno erano protetti da un'assicurazione e pretendevano di lavorare solo dopo le sei di sera. Espongo le mie perplessità a G* che cade dalle nubi e mi sussurra che finora non aveva mai avuto problemi di questo genere. In ogni caso, per venire incontro alle mie bizzosità, provvede a trovare un'altra impresa di magutt autoctoni che costa solo il doppio di quella clandestina. Partono i lavori.

    Non appena compare il primo ponteggio sulla facciata, il pomeriggio stesso si presenta un ispettore delle Belle Arti, incazzato come un puma, che minaccia di sbattermi in galera seduta stante a meno che non smantelli all'istante l'impalcatura, perché quello che a me era sempre sembrato un brutto fregio che girava tutt'intorno all'edificio è in realtà una notevole opera di Giovanni Gerolamo Raggi, pupillo prediletto di Giambattista Tiepolo. Mannaggia alla sfiga! E' sempre stato lì, talmente scrostato che si capiva sì e no se si trattava di animali, di putti o di erbe. Peccato che fosse sottoposto a un vincolo delle Belle Arti dagli anni Quaranta. Torno da G*, un po' seccata. Ma non erano stati fatti dei controlli? Dio lo avesse in gloria! Sì, ma, no, però, insomma, e mi condisce via dicendo che non spettava a lui fare accertamenti. Me ne vado imbufalita, ma a quel punto ho già speso tanti di quei soldi che fermare tutto mi sembra impossibile. Seguono tre anni durante i quali intrattengo un rapporto quasi settimanale con tutti gli impiegati delle Belle Arti di Brescia, alla fine dei quali ottengo il permesso di riprendere i lavori. Nel frattempo tutti i preventivi sono scaduti e quelli nuovi sono circa il doppio di quelli di tre anni prima. Nonostante uno scoramento mondiale arriviamo alla ripresa dei lavori.

    Sfortunatamente la modifica della planimetria dei piani superiori si rivela incompatibile con la statica delle solette in legno settecentesco della villotta, infatti si sono aperte inquietanti crepe parallele ai pavimenti che, a meno di non armare i soffitti con delle putrelle di acciaio dal costo di una piccola portaerei, rischiano di essere l'annuncio di un crollo imminente. A questo punto mi convinco definitivamente di avere a che fare con un cialtrone [Mirella realizza ora di avere a che fare con un cialtrone, ma la reazione emotiva, frutto di anni di esasperazione, le fa percepire l'architetto G* ancora peggiore di quanto non sia veramente (questa è detta Posizione eteropercepita del cialtrone)] e l'unica cosa che voglio è la sua pelle e così scatta la causa che mi ha tenuto impegnata per otto anni. Se avessi rinunciato a recuperare i costi sostenuti sulla base delle valutazioni di G* [valutazioni effettuate sulla base della Posizione autopercepita del cialtrone], invece di impegnarmi in una battaglia legale poliennale [decisione presa sulla base dell Posizione autopercepita del cialtrone, che ha scatenato il desiderio di vendetta. A causa del particolare punto di osservazione di Mirella B., si potrebbe interpretare l'accaduto come un problema di parallasse emotiva] avrei risparmiato denaro e nervi e sarei rientrata in possesso della villotta ben prima.

    Come dice il mio commercialista, la differenza tra la quantità di soldi che avrei perso rinunciando a rientrare delle spese e quella che ho effettivamente sborsato in otto anni di causa è la misura di ciò che ho imparato da questa vicenda [Questa cifra corrisponde al DPC (Delta della Perniciosità del cialtrone), cioè alla sua reale capacità di procurare danni a chi entra in relazione con lui].

    La banalità del cialtrone ovveroLo zenzero e l'arte di smerciare i luoghi comuni

    In un suo fondamentale volume del 1994 Tommaso Labranca – peraltro autore del giustamente celebrato Chaltron Hescon, dedicato espressamente al cialtronismo contemporaneo – enuclea con mirabile chiarezza teorica i cinque pilastri del trash: libertà di espressione; contaminazione; incongruità; massimalismo; emulazione fallita. Giungendo alla sintesi espressa dalla formula: INTENZIONE meno RISULTATO OTTENUTO uguale TRASH. L'emulazione fallita di un modello alto è quindi la cifra precipua del trash.

    Molti dei postulati del trash si ritrovano anche nella fenomenologia cialtronesca. Solo per esemplificare il più comune, la libertà di espressione è chiaramente la modalità principale con cui il cialtrone si rapporta al mondo. Una libertà che, a volte, si spinge fino a far saltare le costrizioni della logica e della sintassi. Chi non ricorda quel calciatore che era “pienamente d'accordo a metà col mister”? E cosa dire del frisson surrealista che l'onorevole della Lega Nord Eraldo Isidori ha fatto correre lungo la schiena degli altri parlamentari quando il 28 novembre 2012 ha pronunciato il suo implacabile j'accuse contro le scarcerazioni facili?

    “Il carcere è un penitenziario, non è un villaggio di vacanza. Si deve scontare la sua pena perscritta [sic]. Che gli aspetta. Lo sapeva prima a fare il reato. Io ritengo come Lega di non uscire prima della sua pena erogata. Grazie”.

    Quel che però differenzia il cialtrone da un semplice personaggio trash è la sua modalità espressiva. Il trash è un fenomeno che si estrinseca essenzialmente nelle creazioni umane e quindi ha una sua visibilità immediata – passando davanti a una villetta in stile Dallas sulla Paullese, con una piscina a forma di cozza, con i neon viola, si resta choccati dall'incongruità dell'insieme rispetto all'ambiente circostante; al contrario, si può condividere a lungo la stessa stanza con un cialtrone senza neppure sospettare la sua natura cialtronesca.