Chi ci può salvare dai supereroi del giustizialismo? Una serie tv cafona

Giulia Pompili

    Roma. “Fatemi dire una cosa. Sono felice di essere qui, davvero. Una tragedia ha colpito il nostro paese questa settimana. Non usiamo mezzi termini: l'America è sotto attacco. Qualcuno vorrebbe che io salissi su questo palco a dire banalità con un discorso di circostanza, istituzionale. Ma non voglio, non posso. Sapete perché? Perché credo che quello che Dio vuole da me è che io vada là fuori, trovi i luridi bastardi che hanno organizzato l'attacco in qualunque grotta si nascondano e li porti di fronte a una cosa chiamata giustizia divina! Questo è quello che penso! E' la cosa più americana che si possa fare, la cosa giusta che va fatta! E invece no, perché sembra che io debba chiedere il permesso al Congresso! Giusto? Io dico no! Io rispondo a una legge superiore!”. Non è difficile immaginare il presidente americano pronunciare un discorso simile, o per restare più vicini, diciamo a casa nostra, pensare che possa essere stato qualcuno che brandisce il rosario al termine dei comizi come fosse, appunto, la testimonianza di una legge superiore alla quale risponde. A pronunciare quelle parole è invece il Patriota, personaggio principale di “The Boys”, serie tv da poco su Prime Video. L'attacco di cui parla il biondo, fighissimo supereroe interpretato da Antony Starr è un dirottamento aereo da parte di alcuni estremisti islamici. Essendo supereroe volante e dotato di sguardo inceneritore, qualche ora prima aveva raggiunto l'aereo di linea insieme con la sua compagna, Queen Maeve (l'attrice Dominique McElligott), aveva fatto fuori gli estremisti e poi, tra un sorriso a trentadue denti e l'altro, ops!, aveva incenerito pure la plancia di comando con comandante. Mentre l'aereo precipita, Queen Maeve – presa da un raro momento di empatia – supplica: “Almeno salviamo la bambina!”, e il Patriota replica: “Così che racconti al mondo come li abbiamo lasciati morire tutti? Non se ne parla!”. “The Boys” è il populismo applicato ai supereroi, che non sono per niente buoni: sono influencer, e l'unica cosa di cui si preoccupano “è la loro reputazione”. Tratta dall'omonimo fumetto scritto da Garth Ennis e disegnato da Darick Robertson nel 2006, oltre al plot tradizionale degli anti eroi che combattono i finti eroi – in un modernissimo cortocircuito in cui non si salva nessuno – gli otto episodi della prima stagione della serie tv sono ambientati ai tempi di Facebook, di Instagram e Twitter, dei ricatti sessuali con video rubati, ai tempi dell'hate speech strumentalizzato, degli accordi di riservatezza quando i supereroi si mettono nei guai (come quando “l'uomo più veloce del mondo” investe una ragazza su un marciapiede e la disintegra, in una delle migliori sequenze slow motion/splatter del cinema). Un gruppo di ex mercenari della Cia ha capito il gioco dei supereroi e vorrebbe demolire l'aura di intoccabilità che si sono costruiti, ma deve far fronte all'opinione pubblica contraria, che preferisce di gran lunga i vendicatori alle noiose regole della democrazia e dello stato di diritto. Il colosso che gestisce i “Sette”, cioè l'élite dei supereroi, produce una montagna di soldi grazie ai diritti di film, merchandise, comparsate e bagni di folla. Un ufficio di “monitoraggio crimini” li indirizza verso i delitti più televisivi, costruisce l'immagine di ognuno e la narrazione del personaggio. In sostanza i supereroi sono eterodiretti, il loro mestiere è soltanto quello di apparire e sorridere durante le lunghe sessioni di selfie. Il giustizialismo è l'arma segreta del supereroe-leader, la macchina perfetta per aumentare l'indice di gradimento. Ricorda qualcosa?

    Giulia Pompili

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.