Il manifesto politico di cairo
Non è più questione di se, ma di quando. Urbano Cairo scende in campo senza scendere in campo. “Al momento l'idea non mi sfiora”, dice lui. Poi aggiunge: “Progettavo la scalata a Rcs da dieci anni senza farne mai parola con nessuno, nell'assoluto riserbo. Un giorno l'ho realizzata. I sogni non si svelano in anticipo: si mettono in pratica”. Sono in corso le consultazioni quirinalizie, i gialloverdi galleggiano nel caos, Mattarella sbuffa, il Pd non sa a quale segretario votarsi, e il presidente di Rcs si dirige in macchina verso lo stadio per la partita del suo Torino. Per la prima volta in assoluto, Cairo non vuole parlare di calcio e tv, di giornali e settimanali. Solo politica, tanta politica. “Grillini e leghisti hanno fallito, mi pare evidente. Dove pensavano di andare?”. Al governo, presidente. “Non sono neppure deluso perché solo chi coltiva aspettative può esprimere delusione: io non ne avevo. Quel ‘contratto di governo' era totalmente irrealistico, Salvini e Di Maio avevano agende inconciliabili. Come fai a tenere insieme flat tax, quota 100 e reddito di cittadinanza? Come si possono giustapporre politiche monetariste e keynesiane? Non si può promettere tutto e il contrario di tutto. Se annunci cose mirabolanti, la gente ti vota perché ha bisogno di una speranza, dal 2008 a oggi la condizione della classe media è obiettivamente peggiorata. Se però poi non sei in grado di trasformare le promesse in realtà, i cittadini ti voltano le spalle, e fanno bene”.
Il connubio gialloverde non doveva neppure cominciare? “Ci hanno fatto perdere quindici mesi, nel frattempo l'economia è entrata in stagnazione, e pure in politica estera non abbiamo fatto un figurone. Era davvero necessario sprecare questo lasso di tempo per prendere atto che il matrimonio non funzionava? Io, nelle mie aziende, determino il corso degli eventi nei primi cento giorni”.
Insomma, i due l'hanno tirata troppo per le lunghe. “Le dico come la vedo io. Matteo Salvini è perfetto per le campagne elettorali, ha portato il suo partito dal 4 al 34 per cento delle elezioni europee, anche se un recente sondaggio segnala un repentino calo al 31, mi pare. Lui sa agitare le piazze, fomenta le folle da politico esperto qual è, ma governare è tutta un'altra storia. Facendo la voce grossa in Europa, che cos'ha ottenuto? Questo mostrare i muscoli così smaccato ha forse dato qualche frutto? E' servito soltanto alla Lega che ha raddoppiato i consensi nel giro di un anno”.
Ora che ha mazzolato il leghista, mi dica qualcosa di Di Maio. Per par condicio. “Il M5s ha promosso in ruoli istituzionali gente senza esperienza, che non ha mai studiato, che non ha mai fatto la gavetta. La giovane età va bene ma da sola non basta. Non sempre essere giovani è la soluzione: la competenza è fondamentale, soprattutto di fronte ai problemi complessi in una società complessa. Non esistono ricette facili. Perciò un leader onesto non promette l'Eldorado: se non lo realizzi, la gente si stufa e l'escursione del consenso è fulminea”.
In molti vedono in lei il nuovo Berlusconi. “Io non sono e non sarò mai l'erede del Cavaliere. Io sono molto diverso da lui. Per essere ancora più chiaro: non vivo nell'attesa di ricevere una qualche investitura né intendo assumere la guida di partiti già esistenti che hanno attraversato una parabola puntellata di successi e fallimenti. Nella vita non si prende il posto di qualcun altro… Se si vuole compiere il grande passo, si dà vita a una creatura inedita, la s'inventa di sana pianta. Gli innovatori inventano il nuovo, non riciclano il vecchio”.
I toni sembrano quelli di una discesa in campo. “Al momento l'idea non mi sfiora, gliel'ho già detto”. Lei detesta gli appellativi di “berluschino” e “cavalierino”, eppure i punti di contatto sono più d'uno. “Le trovo espressioni spregiative. Io sono orgoglioso di aver lavorato per il Dottore, all'epoca avevo trent'anni, oggi ne ho più del doppio. Lui è sempre stato bravo nello sviluppare i ricavi delle aziende ma non si è mai occupato delle singole voci del conto economico, delegando questa attività ad altri. Io non delego”.
Lasciamo un attimo da parte il Cav. e torniamo al suo discorso sul consenso volatile, sull'elettorato fluido che tradisce facilmente. “Lo dicono i numeri: sotto la guida di Di Maio i grillini sono passati dal 32 al 17 per cento, Matteo Renzi ha portato il Pd dal 40 al 18 per cento delle scorse politiche. Nel caso di Salvini non so come andrà a finire”.
Lei è un attento osservatore delle parabole altrui. “La politica è vita. Io sono un imprenditore e seguo le cose della politica, certo. Oggi i social network hanno disintermediato il rapporto tra elettori ed eletti, siamo tutti sottoposti a uno scrutinio permanente, in tempo reale, e le bugie hanno le gambe corte. Per questo, ritengo che alla gente vada raccontata la verità: il momento è complicato, l'economia è in stagnazione, spirano venti di recessione a livello globale. Dobbiamo rimboccarci le maniche e lavorare sodo”.
Niente reddito di cittadinanza? “Non scherziamo, quello è un incentivo a non fare, o a fare nel sommerso.
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