Aspettando Roma
Decolla in queste ore a Roma (forse) il Conte bis. Il governo M5s-Pd che non è un ribaltone (checché ne dicano Salvini) ma di certo è un ribaltamento rispetto al contenuto politico del precedente governo. Nel suo piccolo – se l'operazione decollerà, con molti cambi di persone ai ministeri – si assisterà anche a un ribaltamento di prospettiva politica per Milano e la Lombardia. Beppe Sala potrebbe ritrovarsi con un governo (parzialmente) amico, Attilio Fontana senza più il suo partito nelle stanze dei bottoni di Roma. L'italiano medio ha un disincantato disinteresse per le cose della politica romana, per il milanese medio c'è ancor meno appeal: le cose filano, e non è certo per merito di Roma. Ma, e questa è la domanda vera, Milano ha bisogno di un governo centrale forte, stabile, magari dello stesso colore politico? La Regione ne ha bisogno? Interpretazioni da sempre discordanti si combattono sullo scenario milanese, tra quelli che dicono che ciò che va bene a Milano va bene anche per l'Italia e quelli che dicono che ciò che va bene per l'Italia, in fondo anche a Milano può non dispiacere. Dal punto di vista pratico, la risposta la daranno (pur in modo implicito e felpato) il mondo economico e il sistema bancario. Dal punto di vista politico, va detto che al momento c'è un'unica vera partita nella quale un governo, di qualunque colore sia, dovrebbe legiferare. Ovvero la legge olimpica (ne parliamo in questa pagina, ndr). Beppe Sala spinge, perché rammenta i tempi di Expo, biblici. Li dovette recuperare lui, poi, e se ne ricorda la fatica e l'onere. Per adesso, la grande Milano non sembra avere contenziosi scottanti aperti con Roma, altrimenti l'assessore al Bilancio Roberto Tasca avrebbe già tirato una bordata con la sua solita (poca) diplomazia. Non è escluso che lo faccia, nel prossimo futuro, ma per adesso è rimasto silente, in attesa. Il mondo bancario pare preoccupato più dalla recessione della Germania che da altro. E la Regione? Qui la partita è tutta politica. Attilio Fontana ha scommesso sull'Autonomia buona parte del suo mandato politico. Attuare la madre di tutte le sfide della Lega, nella Regione che insieme al Veneto ha fatto di questa il principio cardine di ogni sogno politico e amministrativo, ormai sarà cosa impossibile. Tutti sanno che proprio all'ultimo miglio il Movimento cinque stelle, se davvero andrà al governo con i Dem non farà un così gran regalo all'ex alleato leghista. Niente autonomia, dunque, c'è da scommetterci. Anche se uno come Pierfrancesco Majorino, al Foglio, ha sostenuto la necessità di non regalare l'argomento Autonomia a Salvini: “Dobbiamo farla. Magari su basi diverse, come in Emilia Romagna. Ma se la insabbiamo non facciamo altro che riconciliare Matteo Salvini con il Nord Italia. E non ce lo possiamo permettere”. Percorso stretto per un governo che – se nascerà – di tortuosità ne avrà molte. Una fra tutte: come sarà la reazione quando arriverà la prima inchiesta (perché arriva sempre), a scuotere la politica? Giustizialisti come i cinque stelle oppure garantisti come sono perlomeno la maggioranza dei renziani? Non sono quisquilie. Ecco perché il mondo dem milanese, sotto la Madonnina, è combattuto. E confuso. Uno come Carlo Cerami, osservatore partecipe, propende per un realismo moderato: “Il Pd unito fa la differenza. Il M5s balbetta sciocchezze per coprire divisioni esclusivamente figlie di bramosia di potere di piccoli uomini”. Un governo che rassicuri il mondo economico e sgonfi il populismo, è una soluzione con una logica. Bussolati ha condiviso su Facebook contrarie: “Alla cialtronaggine bisogna porre un limite. Salvini vincerà? Sarà il volere degli elettori. Faremo opposizione, con una testa mai così alta. E se non vincesse? Viva”. Maran: “Continuo a non credere si debba fare un governo ad ogni costo e che il Pd debba per forza farne parte alleandosi con chi ha obiettivi tanto diversi. Se è davvero indispensabile fare delle azioni che allunghino la legislatura le può fare anche un Conte bis di minoranza senza che il Pd si mescoli ai cinque stelle”. Me nelle ultime ore, le posizioni del Pd (a livello nazionale) sembrano ricomporsi. Alla fine la sintesi, a livello milanese, la fa Beppe Sala, presentando gli eventi delle “week” organizzate da Marco Pogliani: “A Milano si pensa al 2020”. Che dovrebbe peraltro essere l'anno nel quale scioglierà definitivamente la riserva sulla sua volontà o meno di ricandidarsi sindaco di Milano. Questa sì, questione non da poco, che da sinistra dovrebbe essere avvertita come molto più urgente. Perché la Lega vuole a tutti i costi il fortino, la città di Matteo Salvini. E l'addio di Carlo Calenda al Pd sancito ieri avrà ripercussioni, in futuro, su tutto lo schieramento del centrosinistra. Basterà cercare un premier, o si dovrà cercare un nuovo partito?
Fabio Massa
Il Foglio sportivo - in corpore sano