L'Europa secondo Chirac era una coabitazione forzata, molta testa poco cuore

Mauro Zanon

    Parigi. “Questa Europa dell'impotenza, questa Europa-setaccio aperta a tutte le crisi del mondo, questa Europa che non è europea ma dominata dagli interessi germanico-americani, questa Europa della disoccupazione importata, questa Europa-mollusco, senza cuore e senza un vero disegno, questa Europa dove le società multinazionali dettano le loro leggi agli stati, questa Europa in cui la Francia finirebbe inghiottita come in una palude, lo dico con calma e determinazione: non l'accetteremo mai!”. Era il 1979 quando Jacques Chirac pronunciò queste parole profondamente euroscettiche. Era l'anno delle prime elezioni europee a suffragio universale. Forte della sua popolarità di sindaco di Parigi e leader del Rassemblement pour la République (Rpr), si presentò con una lista ostile all'Europa che stava per nascere e apertamente in contrasto con quella del presidente francese di allora, Valéry Giscard d'Estaing, che aveva scelto Simone Veil per condurla. Ma la sua lista euroscettica fu un fallimento: finì quarta, dietro all'Udf di Giscard d'Estaing, dietro al Partito socialista del futuro inquilino dell'Eliseo François Mitterrand, e dietro al Partito comunista. Negli anni Ottanta, passati all'opposizione, fatta eccezione per il biennio di “coabitazione” a Matignon tra il 1986 e il 1988, capì l'importanza di tenere un discorso europeista per poter ambire al gradino più alto della République. Ma questo mutamento forzato, non fece certo di lui un europeista, nonostante la campagna in prima fila per il “oui” in occasione del referendum del trattato di Maastricht del 1992, che diede inizio all'Unione europea e alla moneta unica (un anno prima disse di essere “assolutamente ostile al piano Delors, volto ad istituire in Europa una moneta unica).

    Jacques Chirac non è mai stato un europeista convinto: al massimo un europeista pragmatico. La virata strategico-elettorale del 1992 a favore della costruzione europea scatenò una fronda all'interno del suo Rpr, di cui sarà presidente fino al 1994. Lo accusarono di tradimento, di aver voltato le spalle ai valori del gollismo, all'Europa delle nazioni tanto cara al generale. Charles Pasqua e Philippe Séguin, che di Chirac furono stretti collaboratori, fecero campagna per il “non” al referendum sul trattato di Maastricht, combatterono frontalmente il loro mentore. Ma il trattato di Maastricht fu approvato dai francesi con il 51,04 per cento, Chirac ne uscì rafforzato malgrado la maggioranza risicata, e due anni dopo conquistò l'Eliseo. Da presidente della Repubblica, Chirac, è sempre stato un européen de raison, molta testa e poco cuore, come ha spiegato bene Jean Quatremer, storico corrispondente a Bruxelles di Libération, in un articolo sulle “pugnalate in serie contro l'Europa” del vecchio leone del gollismo. Dalla sospensione degli accordi di Schengen appena arrivato all'Eliseo nel 1995 alle resistenze ad oltranza per la nomina dell'olandese Wim Duisenberg alla Banca centrale europea nel 1998, passando per il doloroso trattato di Nizza del 2000 sull'allargamento dell'Ue, fino alla macchia indelebile del no francese al referendum del 2005 sul Trattato per una Costituzione europea, la relazione tra l'Europa e Chirac è stata molto complicata. Il “non” del 54,4 dei suoi concittadini al referendum del 2005, assieme al rifiuto olandese, fu la bocciatura che cambiò per sempre la storia dell'Europa, la ferita mai ricucita, il vessillo antieuropeista sventolato oggi dai sovranisti quando devono picchiare contro Bruxelles. Molti ricordano anche l'intervento duro di Chirac verso gli otto paesi candidati ad entrare nell'Ue, tra cui la Polonia, per il loro appoggio agli americani nella guerra in Iraq del 2003: “Credo abbiano perso una buona occasione per tacere. Se sul primo dossier complicato, ci si mette a dare il proprio punto di vista indipendentemente da qualsiasi concertazione con il gruppo in cui si vuole entrare, non ci si sta comportando in maniera responsabile”. Il 9 maggio del 2007, il giorno della festa dell'Europa, agli sgoccioli del suo secondo mandato, preferì fare una dichiarazione sull'azione del suo primo ministro. Un simbolo, per molti osservatori, del modo in cui Chirac trattava l'Europa.

    Mauro Zanon