Vittime, vittime a palate. Ma dicci, Meghan, quand'è che t'abbiamo fatto piangere?
U n po' di compassione non si nega a nessuno ma si fa la fila e gli ultimi non sono i primi. Per la pietà vengano avanti i casi umani gravi, le malattie e la povertà, il pomeriggio allo sportello si presentino i disagiati di varia natura. Chiudiamo alle sei.
In settimana hanno staccato il biglietto per mettere il muso pure due insospettabili. Harry e Meghan maritati Sussex.
L'ultima dal reame è che i duchi citati, per sconvolgere l'Inghilterra, invece di combattere la più utile battaglia per l'invisibilità come i cognati che in vacanza vanno dove i fotografi non arrivano, ai Caraibi (Mustique), ci hanno voluto propinare un lagnosissimo documentario ammaestrato su ITV. Scopo: farci pena. Redimerci.
Si, quei due bellissimi, ricchissimi, agevolatissimi disoccupati viaggiatori – i numeri due dei Windsor. Quelli che in un'altra epoca non avremmo neanche notato, causa lignaggio scarso. Sarah Ferguson, la Meghan Markle del secolo scorso, nel millenovecentonovantadue si fece succhiare un alluce in piscina da uno che non era il duca di York e non fece troppe tragedie. Alla fine è ancora lì con Andrea, al momento coinvolto pare in un brutto affare in cui compaiono le parole Epstein e minorenni. Se la caveranno.
I nostri invece ci raccontano quanto si soffre sotto i click dei fotografi. Sublime Meghan, inattesa fuoriclasse in retorica: “Sapevo che sarebbe stato difficile, ma credevo che sarebbe stato corretto. Io esisto, non vivo. Quasi nessuno mi chiede come sto”. Occhioni. Lacrimoni. Musichetta…
Hai vinto! Ci fai pena perfino tu!
Vittime, vittime, vittime a palate. Nelle serie tv, in televisione, sui giornali. Io non ne posso più. “Fare la vittima è come una droga – ti senti così bene, attiri così tanto l'attenzione del prossimo, finisce davvero per definirti, è una botta di vita, e ti fa sentire perfino importante nel momento in cui mostri le tue presunte ferite in modo che la gente possa leccartele. Non hanno forse un sapore così buono? L'onnipresente epidemia di autovittimizzazione – in cui definisci te stesso essenzialmente per mezzo di una cosa negativa, un trauma che hai subito in passato e a cui hai permesso di definirti – è a tutti gli effetti una malattia”. Meno male che è arrivato Bret Easton Ellis a farci la diagnosi, perché qui ormai è una gara a chi il trauma ce l'ha più grosso e inedito. Comincia pure a diventare un problema, non si sa più che pesci prendere, tra autori e sceneggiatori. L'infanzia infelice te la buttano appresso. L'adolescenza picchiati in periferia ormai vale quanto le scuole dai preti. Il divorzio dei genitori non fa punti. Senza episodi di depressione severa non sei nessuno.
Va bene. Solo i mediocri esibiscono intransigenza e durezza di carattere ma stavolta sto con loro. Diana aveva vent'anni e veniva dalla campagna nobiliare. Meghan ha la veneranda età di quasi 40 e viene dalle serie tv americane. Non proprio l'ermo colle. Ci siamo forse persi qualcosa? Che è stato, precisamente? Quando hanno pubblicato quella lettera di Markle padre che le diceva “figlia mia non ti riconosco più”? Quando hanno notato che sbagliava inchino alla regina? Quand'è andata a vedere il tennis in America perché giocava la sua amica Serena Williams? Dà fastidio la sola esistenza dei fotografi? Il massacro precisamente quand'è successo? Quando hanno scritto “prima fanno gli ecologisti e poi prendono aerei privati ad agosto per andare a Ibiza e in Costa Azzurra”? (“aereo pagato da Elton John!”, rettifica per i contribuenti del reame che cominciavano a sentirsi invero un po' cornuti).
Si saranno mica offesi perché abbiamo scritto che inquinano?
Noi dei social saremo pure dei pettegoli irriducibili, un pubblico così schifoso non s'è mai visto e avete ragione, ma santiddio pure voi come siete diventati suscettibili. Mi pare di capire che ai compagni del Sussex non vada ancora giù il triste rospo dell'esistenza: non puoi esigere che la gente si comporti bene con te. A quarant'anni uno dovrebbe saperlo, che la vita è infallibile: tu chiedi un minuto di fair play e quella non te lo dà.
Ester Viola
Il Foglio sportivo - in corpore sano