Triste bellezza
Ó lafsfjörður è un villaggio di pescatori nel nord dell'Islanda, sulla foce del fiordo Eyjafjörður. Ha 800 anime. In questa regione, d'estate, il sole non tramonta: si avvicina all'orizzonte, ma non scompare mai. Il fenomeno tocca il suo apice il 1° luglio poi, pian piano, le tenebre ricominciano a riconquistare la notte. Nell'estate del 2017 il fotografo belga Bastiaan van Aarle, classe 1988, è andato a Ólafsfjörður e ha realizzato trentuno foto, una per ogni giorno di luglio, tutte scattata alla stessa ora: l'1 e 20 di notte, il momento di minor luce della giornata. Con queste immagini ha composto il suo primo libro, pubblicato qualche settimana fa dall'editore tedesco Hatje Cantz, intitolato semplicemente “1:20”. La veste, elegante ma minimalista, con la copertina in brossura, è commisurata allo status di debuttante di van Aarle che, per coprire la stampa del libro, ha dovuto partecipare alle spese ricorrendo a un crowdfunding online. Ci sono le tipiche case islandesi con i tetti di lamiera ondulata, la chiesa sul porto, i negozi, un distributore di benzina, una fabbrica per la lavorazione del pesce, la piscina e una scuola. Accanto alle abitazioni, le auto parcheggiate. Attorno, le montagne con l'ultima neve e i fiumi che attraversano le valli. I lampioni, inutilmente accesi, sono l'unico segnale che fa intuire l'orario notturno. Per le strade non c'è anima viva. A quell'ora, anche in Islanda, si dorme. Il tutto sembra risuonare di un silenzio completo, rotto forse dal rumore del vento.
Sfogliando il libro vediamo passare i giorni e il cielo farsi sempre più scuro: come se stessimo assistendo a un tramonto che, nella realtà, non c'è mai stato. Nelle prime foto percepiamo un'atmosfera irreale che, però, è frutto del cortocircuito che avviene nella nostra mente, informata preventivamente dell'orario dello scatto. E, mentre, pagina dopo pagina, la luce abbandona le immagini, anche il villaggio si allontana progressivamente, con la serie di fotografie che si chiude con scatti di paesaggi quasi notturni.
Viene in mente la serie di fotografie delle notti bianche che Joel Meyerowitz ha realizzato a San Pietroburgo all'inizio degli anni Novanta. Sono immagini per le quali è impossibile non ripensare a Dostoevskij: “Era una notte meravigliosa, una di quelle notti che forse possono esistere solo quando si è giovani, egregio lettore. Il cielo era così stellato, era un cielo così limpido che, dopo averlo guardato, senza volerlo veniva da chiedersi se sotto un cielo del genere potessero vivere uomini stizziti e bizzosi”. Il fotografo americano indugiava sulla bellezza decadente dei palazzi lungo la Neva, le colonne classiche, le nuvole rossastre, i riflessi dei monumenti nelle fontane. La notte bianca era il luogo del sogno. Ecco, non è così il racconto che Van Aarle fa di Ólafsfjörður.
La malinconia delle notti islandesi sembra più amara. I segnali della vita diurna – la geometria elementare delle case, i piccoli cedimenti dell'austero ordine nordico, certi muri sbrecciati, la ruggine che attacca le lamiere – lasciano intendere un'ombra di solitudine. Qualsiasi strada, vista di notte, priva di presenza umana, dà un'impressione simile. Ma questa luce dà una nota definitiva a questo senso di abbandono.
Scrive il poeta belga Bob Vanden Broeck nel testo pubblicato nel volume: “La forza dell'artista sta nell'unire in un'unica immagine due elementi contrastanti: la bellezza e la tristezza. Questa è poesia ed è ciò che rende Ólafsfjörður un luogo affascinante. Qui, in uno stesso giorno, si può piangere guardando un paesaggio meraviglioso e per il futuro senza speranza, che qui riposa come un capannone arrugginito”.
Eppure, questo libro racconta anche qualcos'altro. La notte bianca è la sorpresa per una luce che, di per sé, non dovrebbe esserci. Laddove ci aspetteremmo le tenebre, qui, invece, la luce resiste. Ognuno può pensare alle proprie tenebre. Quelle che preferisce tenere nascoste. E' una piccola, grande, lezione. Per impararla occorreva qualcuno che si prendesse la briga di andare a Ólafsfjörður. A scattare trentuno fotografie.
Luca Fiore
Il Foglio sportivo - in corpore sano