Un gran Del Vecchio

Stefano Cingolani

    E adesso, Leone, a noi due. Nemmeno fosse Rastignac sulla collina del Père-Lachaise dopo aver seppellito Papà Goriot, Leonardo Del Vecchio lancia la sua sfida puntando il dito sulle Assicurazioni Generali. Troppo enfatico? Troppo letterario? Forse, ma è quel che pensano, Balzac a parte, gli operatori di Borsa che hanno visto salire sotto i loro occhi il valore del titolo Mediobanca, grazie agli acquisti del patron di Luxottica, consentendo così a Unicredit di uscire con un assegno da 800 milioni di euro. Lo stesso Del Vecchio ha messo in cascina un centinaio di milioni in appena un mese grazie all'apprezzamento del suo pacchetto nella banca fondata da Enrico Cuccia. Tutto regolare, nessuno può dare corpo a sospetti di intesa più o meno tacita con Jean Pierre Mustier, amministratore delegato di Unicredit, anche se esiste una corrispondenza d'amorosi sensi (lo si è visto quando insieme hanno sfidato Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, per il controllo dello Ieo, l'Istituto oncologico creato da Umberto Veronesi) e permane un incrocio di partecipazioni perché il patron di Luxottica ha poco più dell'un per cento di Unicredit entrata a sua volta nella fondazione che fa capo a Del Vecchio. Chissà se alla Consob stanno studiando un qualche piano B.

    La partita in Mediobanca è più che mai aperta, quella per le Generali non si è mai chiusa. In Piazzetta Cuccia adesso l'azionista numero uno è Del Vecchio che vuole salire fino al 10 per cento e forse oltre. Alcuni gli affibbiano l'intenzione di arrivare fino al 20, anche se Ennio Doris che con la sua Mediolanum è socio influente di Mediobanca, dove si è proposto come mediatore tra i contendenti, getta acqua sul fuoco. In una intervista alla Stampa ha garantito: “Per ora Generali è al sicuro”, dove la vera notizia sta nell'avverbio. Due anni fa era stata Intesa Sanpaolo a farsi avanti. Ora si riparla di Axa (un vecchio tormentone) o di Zurich guidata da Mario Greco che delle Generali era stato amministratore delegato fino al 2016. Dunque, chiamare in causa il Leone di Trieste non è affatto una speculazione giornalistica.

    Ma che cosa vuole Del Vecchio? All'età di 84 anni, dopo aver sistemato figli, mogli, eredi e la sua stessa creatura, quell'azienda di montature per gli occhiali che ha trasformato in una multinazionale e poi ha fruttuosamente collocato nelle sapienti mani della francese Essilor, intende diventare il nuovo deus ex machina di quella che veniva chiamata la Galassia del nord? Lo hanno indicato come l'agente della colonizzazione francese d'intesa con Mustier e con Vincent Bolloré (è la tesi nazional-populista sostenuta dal leghista Giulio Centemero); e adesso viene presentato come campione della italianità. In Mediobanca, vorrebbe aggregare un nocciolo duro in grado di determinare strategie e governance. Mustier si è chiamato fuori. Bolloré ha venduto parte della propria quota scendendo al 6,73 per cento e si è dichiarato soddisfatto di Nagel. Molti lo danno in uscita appena possibile. Alle Generali il finanziere bretone non ha più pensato dopo la scomparsa del suo mentore Antoine Bernheim che, peraltro, aveva abbandonato per sostenere nel 2010 la presidenza di Cesare Geronzi e ottenere per sé la poltrona di vicepresidente.

    “Una coltellata alla schiena”, aveva commentato amaramente il vecchio Bernheim.

    Piazzetta Cuccia, dunque, sarebbe la scala per salire al vertice di Generali. Del Vecchio possiede, attraverso la sua finanziaria Delfin, il 5 per cento della compagnia di assicurazioni. Mediobanca ha il 13 per cento, è azionista numero uno e adesso non intende scendere. L'ex martinitt diventato re della Borsa potrebbe controllare le Generali direttamente e indirettamente attraverso la banca d'affari. Di quattrini ce ne vogliono davvero tanti e, anche se ha un patrimonio stimato attorno ai 21 miliardi di euro, Del Vecchio non è il tipo da gettarli al vento. Chi potrebbe aiutarlo? Forse i Benetton (possiedono un pacchetto del 4 per cento) con i quali resta in ottimi rapporti nonostante la scomparsa del suo amico Gilberto. La famiglia, però, è in tutt'altre faccende affaccendata (si pensi alla bollentissima patata Atlantia) e ormai considera la quota in Generali un investimento puramente finanziario, tanto che all'ultima assemblea ha votato non per la lista Mediobanca, ma per quella dei fondi. Sulla sua strada, Del Vecchio trova un altro azionista importante: Francesco Gaetano Caltagirone, il quale ha il 5,14 per cento, è stato confermato nel consiglio di amministrazione e non intende cambiare gli equilibri. Per ora. In Borsa si leccano i baffi, la battaglia si fa dura e i duri sono scesi in campo: la tenaglia finanziaria di Del Vecchio viene bloccata da Doris in Mediobanca e da Caltagirone in Generali? Oppure si formerà una cordata tricolore? Una bella gara a suon di pacchetti azionari riempie di speranza broker e investitori.

    Chi conosce Del Vecchio stenta a vederlo nei panni di un raider stile anni 80; e non è nemmeno come Carlo De Benedetti, maestro di scalate ardite. O c'è dietro un movente da ricercare nella psicologia e non nella finanza, cioè una grande voglia non tanto di revanche perché non ne ha bisogno, ma di dimostrare quel che è capace di fare a tutto campo, oppure prevale l'immagine tradizionale di uomo che ama la stabilità, gli affari certi, condotti con tenacia e senza fretta. Come si è comportato finora da azionista delle Generali? Se ne è rimasto a lungo tranquillo finché otto anni fa, nel febbraio 2011, si è dimesso in modo clamoroso dal consiglio di amministrazione, in polemica con il presidente Cesare Geronzi, hanno scritto i giornali. Lui poi ha smentito che fosse quello il casus belli, in realtà ce l'aveva con l'amministratore delegato Giovanni Perissinotto, pare per certe iniziative immobiliari in Francia che avevano intaccato gli interessi dell'azionista ribelle. Fatto sta che dopo appena due mesi, anche Geronzi è stato spinto a dimettersi. Da allora Del Vecchio non ha più fatto il socio silente, tutto il contrario. E, nonostante non sia nel cda, non mancherà occasione di far sentire la sua voce. Non resta che attendere. In Mediobanca ha mosso il cavallo, adesso sta piazzando gli alfieri.

    Stefano Cingolani