Ilva & Co., non si investe con un governo banderuola. Parla Bono
“Non vedo una politica industriale, siamo circondati dalla mediocrità, nessuno ha le idee chiare”, dice il capo di Fincantieri
Roma. “La concorrenza non ha più una dimensione nazionale o europea: è globale”, dice al Foglio l'ad di Fincantieri Giuseppe Bono. In una piovosa mattinata romana le riflessioni sono molte ma ciò che preme di più al manager è l'atto con cui lo scorso 30 ottobre la Commissione europea ha annunciato di voler avviare una indagine approfondita sull'acquisizione della francese Chantiers de l'Atlantique da parte del colosso italiano della cantieristica navale. “L'ultimo accordo con il governo francese lo abbiamo siglato nel settembre 2017 – prosegue Bono – All'epoca non vi erano altre proposte industriali e Fincantieri aveva previsto un investimento di 80 milioni di euro”. A settembre, al Forum Ambrosetti di Cernobbio, è intervenuto anche il ministro dell'Economia francese Bruno Le Maire: “Non possiamo aspettare sei mesi, dodici mesi, diciotto mesi per una decisione della Commissione”. A Bruxelles, in effetti, si continua a rinviare la decisione su un settore che, riguardando attività civili, non tocca dati “sensibili”. “Mi viene da pensare – incalza Bono – che a trent'anni dalla caduta del muro di Berlino, e dalla fine dell'Unione sovietica, abbiamo edificato un moloch di regole e burocrazie in grado di scoraggiare qualunque progetto industriale. L'integrazione tra Fincantieri e Chantiers de l'Atlantique serve a entrambi: noi potremmo completare la nostra offerta con le navi realizzate a Saint-Nazaire, e il gruppo francese potrebbe avvalersi della nostra esperienza nella gestione contemporanea di un elevato numero di costruzioni navali”. Intanto la Cina ha già manifestato il suo interesse per il settore. “Oggigiorno la concorrenza è globale. Per sostenere la sfida è necessaria la creazione di un campione europeo. Parliamo di un settore che fa gola a molti: l'attività crocieristica ha un'enorme importanza sociale per i paesi coinvolti nella produzione e nella distribuzione del reddito generato. Le navi sostano in numerosi paesi favorendo le economie locali sia con i consumi dei turisti sia con gli approvvigionamenti delle navi. Non si può enfatizzarne il valore strategico. Si tratta poi di un mercato che non presenta alte barriere tecnologiche e industriali all'accesso, dunque bisogna muoversi in fretta”. Ad assumere la decisione finale, circa la legittimità dell'operazione in base alle regole comunitarie in materia di concorrenza, sarà la nuova Commissione, guidata da Ursula von der Leyen, che però tarda ad insediarsi. “Per questo tipo di operazioni è importante l'interlocuzione tra attori istituzionali. Al momento, in Europa manca un vero interlocutore per via del cambio dei commissari. Ci aspettiamo un intervento incisivo da parte del governo italiano”. Dottor Bono, dal 2002 lei è il capo indiscusso di Fincantieri, società che ha portato in Borsa al pari di Finmeccanica di cui pure è stato ad, per non parlare del ventennio in Efim, l'ente delle partecipazioni statali. Nell'ultimo anno la produzione industriale italiana ha perso quasi due punti percentuali. Il polo siderurgico di Taranto è a un passo dallo scomparire. Che impressione le fa? “La vicenda dell'ex Ilva è paradigmatica del caso Italia. Al di là del caso specifico, nessuno è disposto a investire in un paese che nel giro di un anno cambia per tre volte il quadro legale di riferimento. La deindustrializzazione non rappresenta più un ‘rischio' perché è un processo già in atto. Abbiamo perduto interi comparti industriali, dall'auto alla chimica, che un tempo erano il fiore all'occhiello della manifattura italiana. Oltre il 90 percento delle aziende nazionali impiega meno di quindici dipendenti. L'89 percento del pil nazionale è prodotto dal 20 percento delle aziende. Di questo passo, non resterà più nulla”. Il suo è il pessimismo della ragione? “Ho una visione pessimistica, lo ammetto. Non vedo una politica industriale, siamo circondati dalla mediocrità, nessuno ha le idee chiare su ciò che serve per riprendere quota. La responsabilità ricade sull'intera classe dirigente, non solo politica”. Eppure si approvano i decreti crescita, i decreti sbloccacantieri, i decreti sviluppo… “Belle parole. Un paese con la burocrazia italiana non può crescere. Per avviare un'attività noi dobbiamo passare per cinquanta uffici diversi, l'ultimo sovrintendente delle belle arti è in grado di bloccare un'opera di milioni di euro per un tempo indefinito. Le lungaggini europee peggiorano un quadro già caratterizzato da una miriade di leggi e leggine. C'è poi un'altra questione che tutti trascurano”. Quale? “La demografia. In Fincantieri vorremmo assumere nei prossimi due anni circa cinquemila giovani lavoratori ma non riusciamo a trovarli. Manca l'offerta di manodopera, e spesso i giovani italiani hanno perso la voglia di lavorare, si accontentano di fare i rider a cinquecento euro al mese. Poi, se allarghi la visuale, scopri che in Cina vivono un miliardo e mezzo di persone, nel 2027 la popolazione indiana supererà quella cinese, per non parlare della bomba demografica africana… E noi, come italiani ed europei, registriamo invece tassi di denatalità in costante aumento”. Con la manovra il governo s'impegna per fornire incentivi per gli asili nido. “Magari bastassero gli assegni e il lavoro da casa… Io credo che la questione sia più complessa, di carattere culturale. I nostri nonni non vivevano nella bambagia, eppure i figli li facevano. Mi sembra che oggi siamo tutti un po' meno disposti a metterci in gioco per gli altri. Mi sbaglierò, talvolta dà sollievo pensare che hai torto”.
Annalisa Chirico
Il Foglio sportivo - in corpore sano