CONTRO LA REPUBBLICA DEI PM

Annalisa Chirico

    Se clicchi su Google “potere dei giudici”, vengono fuori quattordici milioni di titoli. Se lo traduci in inglese, “the power of judges”, la mole di risultati si decuplica addirittura. L'Italia somiglia sempre più a una repubblica giudiziaria dove un magistrato ha potere di vita e di morte sulla reputazione di una persona, sulla carriera di un politico, sulla sopravvivenza di una fabbrica. Senza pesi e contrappesi. Senza adeguate garanzie. Senza che il magistrato debba rispondere. Eppure sarebbe un errore prendersela con la corporazione togata perché non è colpa loro: è colpa della politica. Lo so, c'è l'irrefrenabile istinto di puntare il dito contro il pm che, con un eccesso di disinvoltura, sequestra in via cautelare un'azienda, neanche sotto processo; contro due procure che si azzuffano quasi a volersi contendere il lauto bottino sotto gli occhi del mondo che osserva attonito; contro un giudice che, anziché prendere atto di un vuoto normativo, inventa qualche diritto di nuovo conio mai discusso né votato dal legislatore democraticamente eletto. E' la giurisprudenza creativa dei “nuovi diritti”, elemento costitutivo di una giurisdizione che, nelle parole di Gustavo Zagrebelsky, conferisce “il primato alle ragioni che stanno nella vita del diritto rispetto a quelle che stanno nelle righe delle leggi”. E tuttavia sarebbe sbagliato cedere alla tentazione di demonizzare il terzo potere come unico responsabile della “giuristocrazia” in cui viviamo immersi.

    L'espansione del ruolo togato, all'origine di quella che nel 2004 Ran Hirschl definisce “juristocracy”, è un fenomeno comune alle moderne democrazia. Il ruolo predominante della giurisdizione che comincia a manifestarsi negli anni Ottanta è la conseguenza dell'accresciuta produzione normativa, estesa a ogni ambito della vita umana e sociale, unitamente alla istituzione di tribunali e corti che, a più livelli, sono incaricati del potere di revisione delle leggi. Fino al 1942, soltanto Stati Uniti e Norvegia prevedono un organo giurisdizionale competente ad abrogare una norma adottata dal legislatore nazionale, oggi sono oltre novanta. I primi segnali di questa progressiva transizione provengono dunque da lontano: già nel 1981 Robert Badinter, ministro francese della Giustizia ai tempi di Mitterrand, conia l'espressione “democrazia giurisdizionale”. E nel 1995 il magistrato francese Antoine Garapon mette in guardia dalla “giurisdizionalizzazione della vita collettiva” fondata sull'espansione dell'ambito di intervento delle corti di giustizia, a spese di politici e pubblici funzionari, e sulla proliferazione di mezzi investigativi e decisionali di carattere giudiziario.

    L'Europa, con i suoi molteplici livelli giurisdizionali che si sovrappongono e s'intrecciano, è l'emblema di questo fenomeno. Per comprenderne l'entità, consideriamo due casi diversissimi eppure rivelatori della tendenza in atto. Nel dicembre 2018 la Corte di giustizia dell'Unione europea riconosce la piena legittimità del programma di “Quantitative easing”, voluto dalla Banca centrale europea sotto la guida di Mario Draghi. La vicenda scaturisce dai ricorsi presentati da diversi soggetti privati tedeschi presso la Corte costituzionale federale che, a sua volta, sollecita il giudizio della Corte di Lussemburgo per stabilire se la Bce abbia travalicato il suo mandato. Il secondo caso racconta invece la tendenza del privato cittadino ad adire direttamente l'istituzione sovranazionale bypassando quella locale: recentemente un assistente sociale indagato nell'inchiesta sui presunti maltrattamenti a Bibbiano ha denunciato la senatrice leghista Lucia Borgonzoni per le sue dichiarazioni pubbliche, e lo ha fatto inoltrando la sua istanza alla Corte europea dei diritti umani, con sede a Strasburgo.

    La radice della “giuristocrazia”, secondo il giudice emerito della Consulta Sabino Cassese, risiede nella “trappola dell'opinione pubblica” cui i poteri legislativo ed esecutivo sono maggiormente esposti: “Dei tre poteri dello stato, codificati da Montesquieu, sono i due più sottoposti al dibattito pubblico. Il potere giurisdizionale ha conservato invece un valore oracolare, e l'oracolo si rispetta, non si discute. Così si è venuta a creare una sostituzione singolare: la magistratura ha preso gradualmente il sopravvento sugli altri poteri. Questo assetto sarà presto messo in discussione dall'automazione applicata alla giustizia: verranno usati sempre più i giudici digitali, regole algoritmiche che dirimono controversie minori in base al calcolo probabilistico del precedente”. A chi risponde un potere “oracolare”? “Esso è rimasto immune da tutti i meccanismi di controllo interno e sociale. Si pensi a quanto è venuto fuori dall'inchiesta sulle nomine in seno al Csm: dopo una enorme eco mediatica, è calato il silenzio, non si è saputo più nulla. Lo trovo un segnale pericoloso. Bisognava porre mano a una riforma delle norme che presiedono all'elezione dei componenti prevedendo non il sorteggio ma magari un rinnovo scadenzato nel tempo, come accade per i giudici costituzionali. A ciò si aggiunge il problema tipicamente italiano delle procure. Distinguerei tra giudice e pm (o, come dicono i francesi, tra il magistrato seduto, che giudica, e quello in piedi, che accusa).