A forza di bighellonare Salvini comincia a prendere schiaffi

Dopo Draghi premier, l'ultima sparata di Salvini è “potrei sostituire la Raggi”. Meloni lo incastra: “Bellissima idea”

Salvatore Merlo

    Un giorno attacca la Nutella, poi però cambia idea perché si accorge che la Nutella è molto più forte della Lega, allora propone Mario Draghi premier (cioè il capo dei banchieri europeisti) e per soprammercato ci mette sopra pure un tavolo di riforme con Pd e M5s. Quindi dice che l'euro è irreversibile, salvo smentirsi un secondo dopo, infine butta lì, come al bar del Giambellino, che lui potrebbe fare il sindaco di Roma, anche se ovviamente non ci pensa nemmeno, figurarsi, e infatti non risulta a nessuno che stia organizzando una classe dirigente per governare la capitale più malridotta dell'Europa occidentale. Va a strascico, Matteo Salvini, ne spara cento al giorno, è un grossista dell'iperbole, un arrampicatore da K2. La normale smargiassata con lui raggiunge quote himalayane, e ogni tanto ovviamente c'azzecca pure – coi grandi numeri funziona così – perché in effetti Roma è in uno stato pietoso e la sinistra pur di tenersi stretti i 5 stelle si fa piacere persino quella disgrazia ambulante chiamata Virginia Raggi, lasciando campo libero alla destra. Ma la strategia dello zuzzurellone ha le sue controindicazioni, perché ogni tanto c'è qualcuno che fa finta di prenderlo sul serio, e allora lo spiazza, lo incastra alle sue stesse parole, gli dice, come Giorgia Meloni: “Idea bellissima. Candidati sindaco”. Ve lo immaginate Salvini che invece di puntare a Palazzo Chigi si trova alle prese con le buche, la monnezza, il dissesto finanziario e la metropolitana allagata? Se c'è una cosa che nella Lega sanno tutti è che il candidato sindaco del centrodestra, a Roma, non sarà mai un leghista. Tuttavia non importa, per Salvini quel che conta è soprattutto una cosa: esserci. E quando sbaglia – capita spesso – poco male, lui si corregge il giorno dopo e poi ricomincia, come quando aveva scambiato Claudio Baglioni per un comunista da centri sociali o come quando s'era messo a insultare Ramy, il bambino che a marzo aveva salvato i compagni di scuola da un autobus in fiamme. Ma lo zuzzurellone, si sa, è inesausto, lavora sulla quantità, non da oggi. Qualche anno fa, per dire, s'imbucava metodico nelle fotografie con Putin e Trump, a Mosca e a Filadelfia, dunque girava il mondo facendosi selfie con leader di livello mondiale che ovviamente non avevano idea di chi fosse quel simpatico italiano con la felpa e i capelli arruffati. Ma lui: clic! In pratica era diventato una specie di Paolini, l'insistente disturbatore televisivo che Frajese una volta prese a calci nel sedere in diretta al Tg1. Ma più ambizioso. Un Paolini su scala globale. Prima strafaceva per farsi conoscere, adesso strafà perché avverte il rischio di passare direttamente dal Papeete al burrone. Il governo più scalcinato della terra, infatti, il governo del Bisconte, non schioda, anzi minaccia di durare, sfidando tutte le leggi della fisica e della logica. Dunque Salvini vince solo le elezioni che non ha, e deve pure gestire un partito che sta nominalmente al 30 per cento, ma non si sa quanto possa reggere due anni di opposizione. Tutto questo mentre i fratelli coltelli di Giorgia Meloni invece crescono, e lei ora lo supera pure in popolarità. La nemesi è che fino a qualche mese fa era Salvini, facendola arrabbiare, a candidare a intervalli regolari la Meloni sindaco di Roma. Le toglieva un consigliere comunale a Roma, e la candidava. Le toglieva un consigliere municipale a Ostia, e la candidava. Persino ieri la Lega ha chiuso un accordo per le provinciali a Viterbo, con Forza Italia e il senatore Battistoni, escludendo il partito della Meloni. Ma lei cresce, e lui cala. Quindi quando adesso lo zuzzurellone, nel suo eccesso di facondia, si fa scappare che “farei a cambio con Raggi anche domani”, ecco che Meloni coglie la palla al balzo: “Ottima idea”. E sembra quasi quella famosa commedia che s'intitolava così: “Vai avanti tu che mi vien da ridere”.

    Salvatore Merlo

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.