Milano. Quando vi chiedete per quale motivo il tycoon del lusso Bernard Arnault potrebbe essere interessato ad acquistare l'AC Milan dal fondo americano Elliott (nonostante le molte indiscrezioni, conferme ufficiali da Parigi non ci sono mai state, dopotutto), non dovete pensare agli abiti haute couture di Dior a 250 mila euro, ma a Fenty Maison, la collezione di Rihanna, cioè a hoodie scollati sulla schiena a 440 euro e t-shirt a 200 che, nel momento in cui vennero lanciati, sei mesi fa, con un investimento di 30 milioni di euro, gli fecero dire di “aver scoperto in questa eccezionale cantante una vera ceo, una leader”, per la quale era giusto aver creato “una squadra talentuosa e multiculturale”. Profumi, cosmetici “inclusivi” e intimo di miss “Diamond” prodotti dal gruppo di Arnault vendevano già per milioni di euro e avevano un seguito popolare combinato di oltre 10 milioni di follower: l'abbigliamento ne era dunque il logico complemento. Se credete che Arnault produca beni di lusso, avete ragione sul piano teorico e tecnico, in quanto si tratta di prodotti di qualità, ma non del tutto su quello pratico, e cioè finale. Cliccate sul sito e-commerce di Vuitton e vi farete un'idea di quanto andiamo affermando: non vi si trova in vendita solo il modello Capucines in pitone azzurro a 7.200 euro o la “Twist” Mini in coccodrillo rosso a 15 mila, ma anche la “pochette accessoires” in tessuto monogram a 400 o le borse a braccio a poco più di mille euro. Questi, insieme con cinture e scarpe, pantaloni da rapper e cravatte a 160 euro, sono i modelli di cui vagheggiano i ragazzini, per cui risparmiano le impiegate e che si concedono i turisti che affollano ogni sabato il grandioso monomarca riaperto qualche anno fa sugli Champs Elysées. Sono loro che fanno massa e cassa, non solo i miliardari che vengono ospitati nei salottini privati o visitati a loro comodo in albergo o a casa, e dannati i gilet jaunes che per quasi un anno hanno limitato i ricavi del dì di semi-festa. E poi profumi, rossetti, smalti: a fine gennaio arriveranno i risultati del gruppo per l'anno fiscale 2019, già preannunciati da una crescita del 16 per cento nei primi nove mesi, ma quelli del 2018 delineavano già in modo chiaro quali fossero sempre di più l'asse e la direzione: moda e accessori, con ricavi per 18,5 miliardi di euro; distribuzione selettiva (principalmente Sephora, DFS e Le bon Marché, più addentellati, fra cui il visitatissimo T Fondaco dei Tedeschi a Venezia), per 13,6 miliardi, e profumi e cosmetici per poco più di sei miliardi. A buona distanza vini e liquori, cioè il componente “MC” della sigla, Moet&Chandon, e infine orologi e gioielli, sebbene entrambi in crescita. Guardate la raffinata portabilità che Givenchy ha ottenuto sotto la guida di Clare Waight Keller, designer ex Calvin Klein dunque nativa-casual, pensate alla nuova desiderabilità di Dior sotto lo sguardo marketing oriented del duo apicale Maria Grazia Chiuri-Pietro Beccari e domandatevi quanto peso abbia ormai il mondo dell'entertainment nei successi del gruppo e anche di certi gruppi editoriali, perché il progetto pilota di Condé Nast Italia con la “experience boutique” Frame al piano terra del palazzo di piazza Cadorna dove ha sede persegue esattamente la stessa strategia: vendere beni e creare riconoscibilità offrendo intrattenimento e un modo per passare il tempo, facendosi un selfie e, va da sé, postandolo.
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