Apoche ore dalla eliminazione di Qassem Suleimani, il “mastermind” militare iraniano, gran burattinaio di una rete terroristica estesa tra Palestina, Libano, Siria e Iraq, Chris Krebs, direttore della Cybersecurity and Infrastructure Security Agency statunitense, esorta le principali aziende e i dipartimenti governativi ad alzare il livello di guardia: “Quella che all'inizio può apparire una piccola breccia, un solo account compromesso, può trasformarsi in un collasso di tutta la rete”. Che cosa succederebbe se l'energia, i treni, la Borsa venissero fermati nel medesimo istante? In un mondo dove il cammino impetuoso della tecnologia cambia il modo di comunicare, muoversi, mangiare, curarsi e procreare, la guerra non è più la stessa. Ai domini tradizionali di terra, mare e aria, si aggiungono spazio e cyberspazio, con gli Usa che per la prima volta nella storia rischiano di perdere il primato tecnologico. Già un anno fa il premier israeliano Benjamin Netanyahu metteva in guardia dai rischi di cyberwar: “Le infrastrutture del paese vengono attaccate ogni giorno dagli hacker iraniani. Monitoriamo queste incursioni e le respingiamo”. Non a caso, in questi anni il generale ucciso dai droni del Pentagono a Bagdad ha arruolato numerosi pirati informatici tra le sue forze.
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