Lo stato della crisi

Giulia Pompili

    L'epidemia del nuovo coronavirus non ha conseguenze soltanto sulla globalizzazione, e sulle aziende europee che improvvisamente trovano la strada per la Cina sbarrata. Ci sono vari problemi che il contagio (e la psicosi da contagio) si porta dietro. Riguardano vari settori, e sono tutti molto importanti.

    Il dissenso interno

    Secondo le ricostruzioni fatte da autorevoli analisti e dai media locali, il governo centrale di Pechino, guidato dal Xi Jinping, non sarebbe stato informato per tempo delle polmoniti sospette che si stavano moltiplicando a Wuhan. I primi casi sono probabilmente databili intorno alla fine di novembre. Cioè un mese prima della comunicazione effettuata al rappresentante in Cina dell'Organizzazione mondiale della sanità, che è del 31 dicembre. Anche tra il 31 dicembre e il 23 gennaio – il giorno in cui Pechino decide di iniziare a isolare intere città – la confusione e l'insufficiente comunicazione da parte delle autorità aumentano il caos e i contagi. Da una parte, c'è di sicuro il tentativo da parte del governo locale di minimizzare, e poi quello del governo centrale di indirizzare l'emergenza verso qualcosa di più politico, diciamo così, di “plauso internazionale”. Allo stesso tempo, è facilmente smentibile un tentativo di cover up, di insabbiamento da parte della Cina – gli errori del 2003, durante l'epidemia di Sars, hanno insegnato. Anche perché della polmonite atipica, che allora non aveva un nome, si parla già da dicembre sui giornali cinesi. La morte del medico Li Wenliang, il primo a diffondere la notizia dell'aggressività del nuovo virus, poi censurato dalla polizia di Wuhan, in parte riabilitato e infine contagiato, ha scatenato l'ira dei cittadini cinesi sui social network. Anche la tradizionale stampa d'inchiesta cinese ha pubblicato diversi profili celebrativi del giovane oculista. Siamo abitutati a guardare alla Cina come a un monolite che in realtà non è: il dissenso interno è stato sempre presente soprattutto quando le questioni pubbliche riguardano la salute, e a gestirle sono le autorità del Partito unico. Diversamente dall'epidemia di Sars del 2003, inoltre, la diffusione di internet e dei social aumenta il fattore comunicazione e condivisione. E quindi, che succede se montano le proteste? In pericolo è sempre il “contratto sociale” post piazza Tiananmen: un miglioramento della vita di milioni di cinesi in cambio dell'abbandono di rivendicazioni politiche. Un meccanismo funzionale e riuscito, fino a che un problema sociale non diventa trasversale, toccando chiunque, indistintamente. Come un'epidemia.

    Il cigno nero

    L'epidemia arriva nel momento di massima espansione della nuova Cina di Xi Jiping. Il Sogno cinese del presidente ha la sua massima espressione internazionale nella Nuova via della seta, il mastodontico progetto lanciato nel 2013 di sviluppo e influenza globale. Con la Via della seta – alla quale l'Italia ha aderito, primo paese del G7, nel marzo del 2019 – Xi Jinping vuole rilanciare la Cina come alfiere della globalizzazione. Dall'Africa all'Europa, dall'America all'Australia fino al sud-est asiatico, non c'è angolo del mondo dove attualmente non esistano grossi interessi cinesi. Un'epidemia che “ferma” la Cina per un numero imprecisato di giorni è un dramma non solo per i cinesi, ma anche per noi – e lo abbiamo visto con la guerra commerciale con l'America, quanto l'economia cinese ormai influenzi l'economia globale. Quando finirà l'emergenza e Washington e Pechino ricominceranno i colloqui per implementare la fase due della tregua, Donald Trump siederà al tavolo da una posizione di forza, con una Cina ferita davanti a sé.

    Una questione d'immagine

    Per allontanare l'idea di mostrarsi in difficoltà, subito dopo l'inizio dell'emergenza la Cina ha tentato di propagandare un'immagine di sé forte e capace di farcela da sola. Una potenza responsabile e affidabile. E' così che va interpretata la propaganda sulla costruzione dei “due ospedali in tempo record”, che altro non era che la messa in piedi di ospedali da campo per l'isolamento dei pazienti infetti. Il contenimento dell'epidemia di coronavirus avrebbe dovuto essere l'ennesimo successo cinese. Non ha funzionato, almeno non per ora.

    Il cattivo esempio italiano

    Anche per questi motivi l'epidemia è enorme problema sia di politica interna sia di politica estera per la Cina. La frase che più si sente dire negli ultimi giorni dai diplomatici cinesi è: un amico si vede nel momento del bisogno. Il Giappone è stato uno dei primi paesi a inviare aiuti alla Cina – e lo sappiamo perché la notizia è stata sottolineata più di una volta dalle autorità di Pechino. L'Italia, che ha aderito al progetto politico della Via della Seta e quindi dalla Cina considerata “amica”, per questioni di opinione pubblica, come prima azione di prevenzione, ha dato lo stop ai voli da e per la Cina. Un'azione diplomaticamente scorretta, che avrà delle conseguenze.

    Giulia Pompili

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.