Cosa fare a Bergamo quando vuoi rigenerare il tessuto commerciale
E' ormai lontana (nuove fobie per il cibo cinese a parte: nemmeno la Notte delle bacchette pro ristoranti cinesi le ha vinte) la stagione delle ideologie e del massimalismo alimentare, durante la quale era guerra guerreggiata. Al punto che la Coca-Cola era stata vietata per anni in India o a Cuba e boicottata “politicamente” in molti paesi europei. Poi vennero gli anni della crociata contro i fast food, in particolare nei centri storici delle città d'arte. Oggi, con l'economia circolare che va per la maggiore, ma poi bisogna tenere conto della realtà e delle necessità dei clienti, c'è chi sta cercando una strada per un consumo dal volto umano, e compatibile con i luoghi: è il caso di Bergamo, città ricca, bella e storica, guidata speditamente da Giorgio Gori. Obiettivo evitare l'omologazione e il cannibalismo commerciale, salvaguardando il carattere del centro storico. Perché, come spesso accade, anche a Bergamo si erano insediati, ai margini della città, tre grandi centri commerciali che gradualmente avevano assorbito buona parte della capacità di spesa di residenti e viandanti. Svuotando progressivamente la potenzialità commerciale della città di Bergamo. Situazioni che spesso sono affrontate a livello di opinione pubblica (ma anche dei politici purtroppo) con slogan anti mercato o con richieste fuori mercato. Invece “la risposta è arrivata attraverso il distretto urbano del commercio, grazie alle medie strutture e a un regolamento per la Città alta che ha rilanciato il commercio di vicinato”, spiega al Foglio Luca Tamini, del Politecnico di Milano, dipartimento di Architettura e Studi urbani. Perché Bergamo si è affidata, prima che ai regolamenti, a un pensiero complessivo sulla città. La svolta, voluta dal comune, è stata la capacità di associare politiche attive dei servizi attraverso il consolidamento del distretto urbano del commercio, inserendolo all'interno della variante urbanistica. Il tutto con la regia del sindaco Gori e del professor Tamini. La scelta è stata declinata grazie ad alcuni provvedimenti che hanno tutelato il commercio di vicinato e la capacità attrattiva della città. “Bergamo – spiega Tamini – è stato l'unico comune che ha definito un regolamento per il centro storico ai sensi di un decreto del 2016 che consente, dopo le liberalizzazioni e la direttiva Bolkestein, di reintrodurre i divieti merceologici nei centri storici, utilizzando i ‘motivi imperativi d'interesse generale', solo nel caso in cui particolari tipologie merceologiche generino degli effetti negativi”. La chiave di volta è stata la variante urbanistica “dove sono state introdotte delle premialità sui format commerciali di media dimensione, dai 251 metri quadri ai 2.500. L'intuizione già nel 2016 è stata di utilizzare questi elementi attrattivi per rilanciare le attività del centro storico in un'ottica di rigenerazione urbana”. L'operazione è riuscita anche perché il comune ha coinvolto gli operatori economici attraverso un regolamento condiviso. Appena si liberava uno spazio il nuovo ingresso doveva essere coerente con le indicazioni del regolamento”. Ora anche nella parte bassa della città si sta verificando l'abbandono del centro da parte di banche e attività di servizio, che lasciano spazi utili ad una riqualificazione commerciale che può essere sfruttata anche a ripopolare il quartiere. “La chiave, anche in questo caso, oltre agli strumenti urbanistici, sono le premialità economiche, infatti al rilascio dell'autorizzazione di una media struttura scatta un onere aggiuntivo che entra nelle casse del comune per finanziare il piccolo commercio o l'artigianato di servizio. Con la prospettiva di consentire l'autofinanziamento e il consolidamento di un tessuto commerciale più vicino agli interessi di chi vive o visita la città”.
Daniele Bonecchi
Il Foglio sportivo - in corpore sano