Bloomberg esagera
Milano. Finora, quando si è parlato della campagna elettorale di Michael Bloomberg per la presidenza degli Stati Uniti, si è parlato di una cosa soltanto: l'immane quantità di denaro che il miliardario newyorchese ha speso e continuerà a spendere per favorire la conquista della nomination del Partito democratico e poi, eventualmente, della Casa Bianca. Secondo un'analisi di Advertising Analytics uscita venerdì scorso, Bloomberg ha speso 505,8 milioni di dollari in annunci pubblicitari per la sua campagna elettorale. Sono 5,5 milioni al giorno, e 190 milioni in più di quanto abbiano speso finora tutti i suoi rivali democratici messi assieme, compreso l'altro miliardario in corsa, Tom Steyer. Dietro a queste cifre ci sono racconti favolosi: la campagna elettorale di Bloomberg sta raccogliendo strateghi da Washington e talenti digitali dalla Silicon Valley grazie a stipendi sensazionali: un semplice attivista può prendere fino a 2.500 dollari al mese per un lavoro di diffusione dei contenuti social da 30-40 ore a settimana. Per attività simili, spesso gli altri candidati si affidano a volontari non pagati. La strategia comunicativa di Bloomberg finora è stata elogiata perché l'ex sindaco di New York ha deciso di concentrarsi fin da subito contro Donald Trump anziché sprecare tempo e risorse ad attaccare i propri avversari alle primarie, e poi perché in un certo senso sta usando le armi di Trump contro di lui, con attacchi duri, personali e viscerali, che infatti fanno inferocire il presidente americano, che twitta compulsivamente contro “mini Mike” (il nomignolo che Trump ha attribuito a Bloomberg) e spesso snobba gli altri democratici.
Bloomberg ha assunto alcuni dei migliori strateghi social della Silicon Valley, che sanno meglio di chiunque altro come generare attenzione online. Ma da qualche tempo gli analisti hanno cominciato a temere che la campagna dalle tinte trumpiane di Bloomberg stia superando il limite. Per esempio: il lavoro dei famosi attivisti pagati 2.500 dollari al mese è quello di pubblicare sui social network commenti e materiale favorevoli sull'ex sindaco. Come era prevedibile, molti hanno cominciato a notare che questa pratica è pericolosamente vicina a quella di una troll farm. Facebook per ora ha risposto in maniera contorta alle operazioni degli attivisti di Bloomberg, ma Twitter ha deciso di usare la mano dura, e qualche giorno fa ha sospeso 70 account pro Bloomberg perché violavano le regole della piattaforma su manipolazione e spam, proprio come dei troll qualunque. La campagna di Bloomberg ha fatto sapere che la manipolazione non era la sua intenzione.
Le operazioni digitali sono andate oltre il limite di nuovo dopo il fallimentare dibattito in Nevada, che secondo tutti gli analisti è andato malissimo per Bloomberg. Su internet, però, la campagna elettorale dell'ex sindaco ha postato dei video che mostrano una performance sicura e vittoriosa. Non si tratta soltanto di una selezione intelligente delle uscite migliori di Bloomberg: un video in particolare è stato montato in modo che sembrasse che Elizabeth Warren, Joe Biden e gli altri candidati fossero smarriti e senza parole davanti alle prodezze retoriche di Bloomberg. Peccato che nel dibattito sia andata all'opposto. Il video è sotto tutti i punti di vista un fake, di quelli per cui la campagna elettorale di Donald Trump sarebbe stata condannata duramente.
Due giorni fa l'account ufficiale del team di Bloomberg ha anche pubblicato dei tweet satirici in cui Bernie Sanders esprime apprezzamenti per dittatori sanguinari come Bashar el Assad e Kim Jong-un. Bloomberg aveva ragioni niente male per attaccare Sanders, che in un'intervista qualche giorno prima si era rifiutato di chiamare dittatore l'autocrate venezuelano Maduro e aveva espresso opinioni morbide nei confronti del cubano Fidel Castro e del nicaraguense Daniel Ortega. Ma i tweet sono stati giudicati di cattivo gusto (un po' troppo trumpiani, appunto), e alla fine sono stati cancellati.
Davanti a questa marea di infrazioni, e con l'eccezione timida di Twitter, le piattaforme si sono mostrate inefficaci e incapaci di far rispettare le loro stesse regole – esattamente come avviene con le infrazioni di Trump e con l'attività coordinata dei “Bernie Bros”, i troll di Sanders. Sono molte le campagne elettorali che nel 2020 sono pronte a torcere le regole a loro favore. E nonostante le aspettative e le riforme approvate in questi anni, le piattaforme come Facebook e Twitter non sono pronte a reagire.
Eugenio Cau
Il Foglio sportivo - in corpore sano