Il licenziamento dell'operaio "trapiantato" e quel telegramma di Agnelli
La storia di un caso grave quanto l’andazzo di non assumere ragazze solo perché possono diventare madri
Ci si vesta di giacche antiche, dunque. Antonio Forchione, 55 anni, rientra al lavoro dopo un trapianto di fegato e lunedì mattina è licenziato dall’azienda: “Inabile al lavoro”. Viene cacciato dalla fabbrica dove lavora da trentasette anni, a Rivoli, colpito da un provvedimento che non considera i minimi requisiti di umanità se non proprio quelli dei diritti. Mentre le donne facevano il loro Lotto Marzo, l’8 marzo appunto, con tanto di manifestazioni e fiori, gli operai di Rivoli scioperavano per l’operaio Antonio Forchione senza l’aiuto di riflettori o cerimonie istituzionali. Inaudito un fatto simile. Licenziare un operaio “trapiantato”. E’ grave quanto l’andazzo di non assumere ragazze solo perché possono diventare madri. Ci si vesta di giacche antiche, quindi, e si torni al telegramma che il presidente del Consiglio dei ministri, in tempi di socialismo rivoluzionario, inviò al Prefetto di Torino. Faceva più o meno così: “Fate sapere al senatore Agnelli che nell’Italia proletaria l’operaio non è al servizio della macchina ma la macchina al servizio dell’operaio”. Ps. Ieri improvvisamente mi è arrivata la notizia del ritiro del licenziamento. Il Prefetto di Torino si sarà fatto sentire. Quel telegramma ha ancora la sua efficacia.
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